
Per raggiungere questo scopo, Ferrari collabora con l’ingegner Alberto Massimino, rimasto a Modena a capo dell’ufficio tecnico durante la militanza a Milano di Ferrari, a cui affianca Vittorio Bellentani, perito industriale modenese proveniente dalla Guerzoni e Guarinoni, azienda che produce motociclette Mignon a Modena, che Enzo Ferrari conosce bene fin da quando la sua Scuderia ha avuto un reparto motociclistico, tra il 1932 e il 1934. Senza poter utilizzare il marchio Scuderia Ferrari, lunedì 2 Ottobre 1939 Enzo Ferrari fonda una ditta individuale chiamata Auto Avio Costruzioni. Il nome inganna uno dei fini dell’azienda, che dovrebbe costruire parti meccaniche per la Compagnia Aeronautica di Roma, settore in crescita grazie agli eventi internazionali in corso. È Franco Cortese, pilota della Scuderia Ferrari nel 1930 che Enzo Ferrari conosce da anni, a permettere il contatto tra l’azienda modenese e quella romana. Costituendo la nuova azienda, Ferrari ricorda quanto appreso dal padre, cioè che i soci di un’azienda devono essere di numero dispari inferiore al tre. Se alla Scuderia Ferrari le sue condizioni finanziarie non glielo hanno permesso, ora, con il denaro ricevuto dall’Alfa Romeo per le sue liquidazioni, ben tre negli ultimi tre anni, è nella situazione di poter fare tutto da solo. Nei primi giorni di Novembre del 1939 Renzo Castagneto, direttore del R.A.C.I. di Brescia e ideatore e organizzatore della Mille Miglia, annuncia che, dopo l’impedimento dell’organizzazione dell’edizione 1939, si disputerà la Mille Miglia per l’anno 1940. Questa volta la grande classica italiana, denominata 1° Gran Premio Brescia della Mille Miglia, non percorrerà la penisola italica, ma si terrà su un percorso accorciato da ripetere per nove volte, che copre le province di Brescia, Cremona e Mantova. Lunedì 6 Novembre 1939 Enzo Ferrari rivela all’amico Castagneto - attraverso una lettera - non solo di essere già operativo dopo il ritorno a Modena, ma anche di non essere sorpreso dal suo annuncio:
“Ne ero sicuro, tanto che passando da Modena potrete constatare sino a qual punto io ne sia convinto”.
Le parole di Ferrari fanno intendere le sue intenzioni: con i suoi uomini, Ferrari sta lottando contro il tempo per preparare due automobili in vista della Mille Miglia, a cui mancano poco più di cinque mesi. Ferrari è costretto, in mancanza di materiale Alfa Romeo, ad acquistare due telai Fiat 508C per usarli come base per le due nuove vetture. Una scelta mirata perché l’azienda torinese ha messo in palio 5.000 lire di premio a chi giungerà al primo posto in ciascuna delle tre classi in cui è suddivisa la Mille Miglia 1940, logicamente con vetture, o telai, di produzione Fiat. La squadra di tecnici guidata da Massimino interviene sul telaio, che deve essere modificato e rinforzato per poter sostenere la maggior potenza del motore rispetto a quello che equipaggia le 508C di produzione. Le altre modifiche riguardano le sospensioni, i freni, la trasmissione e lo sterzo; rimangono inalterati il cambio e il differenziale. Per la progettazione del motore, Enzo avrebbe sognato di costruire un dodici cilindri, ma dovendo fare di necessità virtù, la scelta ricade su un otto cilindri in linea. Per evitare il confronto diretto con le BMW due litri e le Alfa Romeo tre litri, Ferrari iscrive le sue vetture alla classe fino a 1500 cc di cilindrata. Massimino prende e unisce due motori Fiat di 1100 cc, per poi ridurre a un litro e mezzo la cilindrata complessiva. Vengono modificati l’albero motore e gli assi a camme, mentre per ottenere il monoblocco e la coppa dell’olio, la squadra si rivolge alla Fonderia Calzoni di Bologna. Con l’aumento della cilindrata del motore, Massimino deve realizzare e installare una nuova pompa dell’acqua. Un nuovo distributore di accensione prende il posto della coppia di distributori di accensione ereditati dalla Fiat 508C.
Poi quattro nuovi carburatori alimentano il motore, posizionati tra i collettori di scarico e che conducono a un unico collettore di scarico, che si conclude nella parte posteriore destra della vettura. Infine viene aumentato il rapporto di compressione del motore. Ferrari, pensando al nome per identificare la nuova monoposto, prende in considerazione il ragionamento fatto con la prima auto costruita interamente a Modena, l’Alfa Romeo 158: 15 è la cilindrata di uno e mezzo, 8 sono i cilindri. La nuova vettura si chiamerà logicamente 815, otto come i cilindri del motore e uno e mezzo la sua cilindrata, ed è la vettura con la quale Ferrari inizia la sua carriera da costruttore. A causa della clausola imposta dall’Alfa Romeo, Ferrari non può usare il suo nome per identificare l’automobile e non pensa neppure minimamente di chiamarla Auto Avio Costruzioni. Per tutti, la vettura si chiama solo ed unicamente 815, come scritto sulla testata del motore. La carrozzeria della 815 verrà realizzata altrove e precisamente alla Carrozzeria Touring di Milano. Nel suo primo incontro, Ferrari, che ha già le idee chiare su quello che desidera, è esplicito verso il proprietario e fondatore dell’attività Felice Bianchi Anderloni: vuole una vettura che si differenzi dalle altre, che si sia riconoscibile all’istante, e che si intuisca lo stile della Carrozzeria Touring, sportivo, accattivante, ma sempre elegantemente sobrio. Complessivamente desidera un’auto sportiva e di lusso. Bianchi Anderloni inizia a realizzare alcuni schizzi, che poi vengono analizzati dal disegnatore Formenti. La Touring utilizza la galleria del vento della ditta Breda e Bresso. Infatti per Bianchi Anderloni il peso è il nemico, la resistenza all’aria l’ostacolo.
Successivamente all’approvazione di una delle proposte sullo stile della vettura da parte di Ferrari, la Touring plasma le forme della carrozzeria, costruita con una costosa lega di alluminio e magnesio denominata Itallumag, di soli 54 chilogrammi. La vettura pesa globalmente 552 chilogrammi. La prima prova aerodinamica su strada del primo esemplare carrozzato di 815 viene svolto sull’autostrada Milano-Como, in un tratto pianeggiante dopo Lainate scoperto e usato spesso da Vittorio Jano con le sue Alfa Romeo. Con la presenza di Ferrari, la 815, la cui carrozzeria viene rivestita di fili di lana, viene lanciata ad alta velocità. Un fotografo, a bordo di una seconda vettura che segue la 815, realizza dei fermi immagini sul comportamento dei fili di lana alla resistenza dell’aria. In base all'analisi delle fotografie, Bianchi Anderloni con i suoi uomini apporterà le modifiche necessarie. Mercoledì 14 Febbraio 1940 La Gazzetta dello Sport parla della progettazione da parte di Ferrari di una decina di esemplari di una sua vettura Sport. Non indica il nome, ma solo la cilindrata di 1100 cc, che si rivela errata, e il motore di otto cilindri in linea. Ferrari smentisce immediatamente la notizia. Ma l’indiscrezione è vera. Non solo Ferrari sta costruendo una vettura, nonostante vada contro l’intesa presa con Alfa Romeo, ma sta realmente pensando di creare una serie di dieci vetture, con la stessa carrozzeria realizzata dalla Touring, ma leggermente diversa dalla vettura Sport che sta costruendo in questo periodo. Delle realizzazioni si è ormai a conoscenza, nonostante le smentite. L’Auto Italiana esalta l’audacia di Ferrari nel trasformare le sue ambizioni in fatti concreti, nonostante il difficile periodo storico in corso, in cui è in pieno svolgimento una guerra europea del quale il futuro è incerto:
"In un momento che non è certamente dei migliori per affrontare le incognite e i rischi della costruzione di un modello di vettura sportiva, Ferrari ha ricavato l’impulso per tradurre in concreto quella che è sempre stata la sua non nascosta ambizione".
Il giornale sottolinea che fin dai tempi ormai lontani della creazione della Scuderia Ferrari e maggiormente oggi che, libero da altri impegni che lo assorbano, può considerarsi il capo di una piccola, ma attrezzatissima ed esperta officina di costruzioni, il problema della realizzazione di un tipo di vettura Sport che potesse attirare alla pratica sportiva i giovani piloti, ha interessato e attratto Ferrari. Nella primavera del 1940 nessuno si stupisce se dopo appena sei mesi di distanza dalla riorganizzazione della piccola officina di Modena, Enzo Ferrari può annunciare la sua prima realizzazione. Verso metà del mese di Aprile del 1940, le due 815 trovano i rispettivi acquirenti. Si tratta del marchese Lotario Rangoni Machiavelli, nobiluomo modenese conosciuto da Ferrari perché ha riportato alla vittoria una versione accorciata dell’Alfa 2300 quando Enzo è stato direttore dell’Alfa Corse, a cui viene venduto l’esemplare con l’allestimento più lussuoso, con i rivestimenti in cuoio e il bocchettone della benzina nascosto; e di Alberto Ascari, il figlio di Antonio, il maestro mai dimenticato e amico di gioventù di Ferrari. Alberto già corre con le motociclette, ma decide di iniziare a gareggiare con le automobili e perciò si rivolge all’amico di famiglia. Ferrari decide di accontentarlo, cedendogli l’esemplare con l’allestimento più sportivo. Ferrari porta la 815 di Rangoni sulla via Giardini, la lunga strada rettilinea costeggiata di alberi centenari che da Modena porta ai piedi degli Appennini, fino ad arrivare a Serramazzoni, sul quale la vettura ha già sfrecciato numerose volte nell’inverno, mentre Ascari ritira la sua 815 direttamente dalla Touring di Milano, dove in seguito viene immortalata davanti alla Certosa di Garegnano e poi testata sull’autostrada Milano-Laghi.
Domenica 14 Aprile 1940 Ferrari scrive a Castagneto per confermare la presenza alla Mille Miglia delle due 815, che saranno guidate dal Marchese Rangoni e dal giovane Alberto Ascari. Ferrari si premura di sottolineare che l’Auto Avio Costruzioni si sarebbe occupata dell’iscrizione e della partecipazione, ma la tessera di concorrente è a nome dei piloti. La squadra modenese, pertanto, assisterà i due partecipanti solamente per quanto riguarda l’aspetto logistico. Ferrari chiarisce che la decisione è dovuta a varie ragioni fra le quali una che spiegherà verbalmente. L’idea è quella di aggirare la clausola firmata con Alfa Romeo: se la Casa del Portello lo mettesse alle strette, Ferrari potrà dire che il suo non è un impegno ufficiale con piloti professionisti, come evidenziato nella clausola, ma ufficioso e con due piloti dilettanti, che si sono rivolti a lui per ottenere solamente l’assistenza in gara. Intanto, però, il cavallino rampante appartenente in passato a Baracca torna ad essere presente nella carta intestata dell’Auto Avio Costruzioni, mettendo in secondo piano la denominazione dell’azienda. La Mille Miglia 1940 si disputa su un circuito a tre vertici di 165 chilometri, da ripetersi nove volte. I tre vertici sono le città di Brescia, Mantova e Cremona. Gli organizzatori dislocano i box di tutte le classi lungo tutto il percorso. A Brescia saranno presenti quelli delle due e tre litri, a Piadena quelli delle 1100 cc, a Guidizzolo quelli delle 750 cc e a Cremona quelli delle 1500 cc, dove si presenta - qualche giorno dopo, per le ultime prove - Enzo Ferrari, con le due 815 e i suoi uomini: Massimino, Bellentani, Bazzi, Colombo, Giberti, i due piloti - il Marchese Rangoni e Alberto Ascari - e alcuni meccanici. Ferrari assiste in silenzio ai passaggi delle sue 815 seduto su un paracarro, con un cappello calato sulla fronte e un dolcevita sotto la giacca.
Con Rangoni Machiavelli e Ascari che si alternano al volante delle loro auto con i collaudatori, la 815 dimostra una buona velocità di punta, ma con il trascorrere delle ore aumenta la preoccupazione relativa alla difficoltà del motore di mantenere ritmi alti e la trazione. È da verificare anche l’affidabilità, perché la gara raggiungerà quasi un totale di 1.500 chilometri. Le prove si concludono al tramonto e le 815 hanno certamente bisogno di altro tempo per sistemare la messa a punto. Ma ormai la Mille Miglia è vicina e Ferrari ha deciso: domenica 28 Aprile 1940 si gareggerà. Martedì 23 Aprile 1940 giunge a Brescia la squadra al completo, compresi i piloti con i rispettivi meccanici di gara: Giovanni Minozzi per Ascari, del quale è primo cugino; ed Enrico Nardi, esperto collaudatore che ha svolto la maggior parte dei test di sviluppo della 815, per Rangoni Machiavelli. Enzo Ferrari si ripresenta in pubblico per la prima volta in una veste diversa, senza il tradizionale cappello Alfa Romeo che ha portato per vent’anni: in pochi sono stupiti nel rivederlo così presto nell’ambiente delle corse. Mercoledì 24 Aprile 1940 il Marchese Rangoni Machiavelli perfeziona l’acquisto della sua 815. Giovedì 25 Aprile 1940 è il turno di Alberto Ascari. Stessa destinazione, ma la voce - specie della carrozzeria - dice Torpedo. Effettivamente il nome ufficiale delle nuove vetture di Ferrari è Torpedino Superleggero Tipo Brescia. L’auto di Ascari, con il #021 sul telaio, ha un prezzo dichiarato di 20.000 lire, mentre l’auto con il numero #020 di Rangoni Machiavelli ha un prezzo ignoto, probabilmente più alto dell’auto di Ascari dato l’allestimento più lussuoso. Venerdì 26 Aprile 1940 le vetture si presentano in piazza Vittoria a Brescia per sottoporti alle verifiche tecniche. Colorate di un rosso amaranto, più scuro rispetto a quello delle Alfa Romeo e delle Maserati, le 815 del Marchese Rangoni Machiavelli e di Ascari porteranno rispettivamente i numeri #65 e #66 dipinti sui rispettivi cofani-motore.
Le vetture sono al momento sprovviste dello scudetto raffigurante il cavallino rampante. Il giorno che precede la gara, sabato 27 Aprile 1940, le due 815 vengono provate a ripetizione sul lunghi rettilinei nei dintorni di Cremona. La velocità di punta è di tutto rispetto, ma l’affidabilità è tutta da verificare. Enzo Ferrari percepisce la Mille Miglia come un collaudo, più che come una vera e propria gara a cui partecipare per vincere: non si illude di vincere, ma spera di non fare una brutta figura. Pertanto, nel corso della sera Ferrari consiglia ai piloti di svolgere una gara attenta. Alle ore 4:00 a.m. di domenica 28 Aprile 1940, in una giornata umida e nuvolosa che non esclude una corsa bagnata, iniziano le partenze per il Primo Gran Premio Brescia delle Mille Miglia. Rangoni Machiavelli prende il via alle 6:21 a.m.; Alberto Ascari alle 6:22 a.m. Ferrari aspetta a Cremona il passaggio delle sue auto. Rangoni Machiavelli è il primo a passargli davanti, e Ascari passa subito dopo, dimostrando di essere il più veloce tra i due. Nonostante le raccomandazioni di Ferrari, i piloti hanno iniziato a spingere sin dalle prime fasi di gara, ponendosi sia contro gli avversari presenti in gara, sia soprattutto uno contro l’altro. Durante il primo giro, tra Cremona e Mantova Ascari sorpassa la vettura gemella di Rangoni Machiavelli, prendendo il comando della classe 1500 cc, la categoria Sport Nazionale, e passando a Mantova sotto gli occhi attenti di Nuvolari e dei fratelli Maserati, Ettore, Ernesto e Bindo, seduti sulla tribuna. Nel corso del giro successivo sia Ascari si ritira dalla corsa, a causa del cedimento di un bilanciere, e di conseguenza è il Marchese a prendere la leadership di classe. Giro dopo giro il Marchese è capace di aumentare il suo vantaggio sul secondo, portandolo ad un massimo di 33 minuti. Al terzo giro il Marchese è undicesimo assoluto; il giro seguente è decimo. Al penultimo giro Rangoni Machiavelli inizia ad accusare problemi di tenuta di strada e, nonostante il parere contrario del suo coéquipier, decide di proseguire la corsa. Ma nel momento in cui il Marchese rimane solo con la terza marcia, il ritiro è praticamente inevitabile: all’inizio dell’ultimo giro i due si fermano.
Se alla vigilia della Mille Miglia è realista sulla possibilità di ben figurare, Ferrari durante la gara ha sperato di cogliere una meritata vittoria di classe, sfumata soltanto a un centinaio di chilometri dal traguardo. Ragionevolmente, Ferrari individua nella fretta con cui questa macchina era stata realizzata la causa del doppio cedimento meccanico delle sue vetture. Di questa prima corsa rimane il record sul giro nella propria classe stabilito da Rangoni Machiavelli sulla 815, con una media di 122 km/h e una velocità massima raggiunta di 172 km/h. I commenti della stampa italiana sono positivi nei confronti della prima prova della 815. L’Auto Italiana consola Ferrari affermando che la 815 ha convinto di possedere competitività e aggiunge che non tutti gli organi, nella primissima edizione sperimentale, possono essere commisurati allo sforzo di una Mille Miglia iniziata con dei giri a 146 km/h di media: nessuno poteva pretendere di vederla raggiungere il traguardo, ma il collaudo è stato persuasivo e lusinghiero. Canestrini, giornalista della Gazzetta dello Sport, dice che le nuovissime 815 di Ferrari, non completamente a punto, hanno esordito ottimamente, anche se non sono giunte alla fine, aggiungendo anche una critica costruttiva nei confronti del giovane Ascari. Per Canestrini, Alberto Ascari avrebbe condotto una gara più lunga ed appagante se non avesse preferito sacrificare un bilanciere del suo motore alla soddisfazione di superare Rangoni. Canestrini conclude dicendo che la 815 è molto stabile e maneggevole. Con i ritocchi necessari diventerà una brillantissima vetturetta sportiva. Ora che l’appuntamento delle Mille Miglia è stato affrontato, tra l’altro con il giudizio positivo della stampa, Enzo Ferrari sa che la 815, con un ulteriore parte di sviluppo, avrebbe potuto competere con avversari ancora ostici. Per pubblicizzare la sua automobile, Enzo Ferrari stampa dei pieghevoli destinati a potenziali clienti appassionati di corse di tutta Italia. La sua intenzione è - dopo aver trovato degli acquirenti per le prime due vetture costruite - quella di allestire altri otto esemplari. Il testo dello stampato, non firmato ma chiaramente dettato da Enzo Ferrari, dice:
“Realizzando questa piccola autovettura sport, che denomineremo 815, non abbiamo inteso costruire una nuova macchina ma semplicemente presentarvi un nuovo TIPO, frutto di modifiche e complessi esistenti, di nostri studi e costruzioni. La nostra ventennale esperienza di automobilismo agonistico, la buona conoscenza delle numerose esigenze che sorgono dall’uso della macchina spinta alle competizioni sportive, ci hanno guidati nel realizzare questa 815”.

“Come ha fatto a diventare così bella in poco tempo?”
E senza esitare, si offre di darle un passaggio all’ufficio postale dove è diretta. Ferrari, che del resto è conosciuto a Modena anche per la sua vita disinvolta, non si ferma di fronte all’evidente differenza d’età e alle tentazioni, e lei finisce per innamorarsi. Inizia così la loro storia. I primi anni sono travagliati, con Laura che è all’oscuro di tutto, mentre i genitori di Lina vengono presto a conoscenza dell’interesse di Ferrari verso la figlia. In un primo momento i genitori di Lina si oppongono ad una possibile frequentazione, ma la giovane è innamorata e si concede ugualmente a Ferrari clandestinamente, fino a che quest’ultimo riesce a convincere i genitori della giovane ragazza dei propri sentimenti. Successivamente Lina viene assunta all’interno della Scuderia Ferrari come segretaria. Sarà lei che accompagnerà Ferrari a Milano alla sede Alfa Romeo, anche tre volte a settimana, e sui campi di gara quando gareggiano le vetture della Scuderia Ferrari, mentre Laura Garello è a casa con il figlio Dino. Per quanto Lina risulti defilata, al punto da scomparire in mezzo alle persone, piloti, meccanici, tecnici e giornalisti, ella in realtà assume un ruolo indispensabile, perché di fatto è sempre a fianco di Ferrari. Ora nel 1940, nonostante la guerra in corso d’opera e la fine temporanea delle trasferte sui campi di gara, il rapporto tra Enzo Ferrari e Lina Lardi rimane sempre più solido e nascosto agli occhi della moglie, Laura Garello. Come accennato, nel frattempo l’Auto Avio Costruzioni conta una quarantina dipendenti, e tali rimangono anche con l’arrivo della guerra. Vittorio Bellentani, che gestisce la direzione tecnica, passa dalla progettazione della 815 ai motori per aerei, e a lui riportano il capo dell’ufficio tecnico, Federico Giberti, e il capo dell’ufficio produzione, Rolando Paolo Rosso; Lorenzo Rosa è il direttore amministrativo, e infine il capo collaudatore della 815, Enrico Nardi, diventato nel corso del tempo l’uomo di fiducia di Ferrari, riceve il ruolo di direttore generale. Successivamente, in base alla dichiarazione rilasciata giovedì 17 Luglio 1941, lo stabilimento Auto Avio Costruzioni - Scuderia Ferrari - Modena viene dichiarato ausiliario allo sforzo di guerra, e tutti i dipendenti divengono mobilitati civili. Questo vuole dire che da questo momento i dipendenti dovranno sottostare alle leggi militari vigenti in tempo di guerra, e se qualcuno non avrà una giustificazione valida scritta nel caso rientri da un’assenza, verrà considerato un disertore.
Durante il secondo anno di guerra il lavoro per la Compagnia Aeronautica di Roma non manca nelle officine di viale Trento Trieste, tanto che si aggiunge pure un turno lavorativo notturno, ma il guadagno resta modesto. Ferrari è alla continua ricerca di commissioni e non si parla - momentaneamente - di automobili. È così che, nel corso dell’annata 1942, si apre un’inaspettata opportunità di guadagno per l’attività di Enzo Ferrari: il fidato e nuovo direttore generale Enrico Nardi presenta a Ferrari il torinese Corrado Gatti, un commerciante di macchine utensili per la fabbricazione di cuscinetti a sfera. Durante il colloquio, Corrado Gatti offre a Enzo Ferrari la possibilità di fabbricare per lui delle rettificatrici oleodinamiche. Ferrari accetta senza alcun ripensamento; con la prospettiva di dover affrontare ancora altri anni di guerra, questa opportunità diventa per sé e per i suoi dipendenti una questione di sopravvivenza. Poco già tardi, nelle officine di Modena gli operai iniziano a costruire macchine utensili, su cui Ferrari decide di applicare una targhetta con il cavallino rampante di Baracca, e la scritta Scuderia Ferrari - Modena su ogni macchinetta. Tuttavia, non bisogna sottovalutare un dettaglio molto importante: le rettificatrici oleodinamiche con il cavallino rampante sono le perfette copie di prodotti già brevettati e costruiti in Germania, di cui i tedeschi hanno rifiutato la richiesta di Ferrari di poter sfruttare la licenza di produzione in Italia. Ma Gatti, che a quanto pare conosce bene le leggi internazionali e si consulta con il proprio avvocato, scopre che la legge italiana non impedisce la produzione di un componente coperto da brevetto, purché questo non sia stato prodotto da almeno tre anni dalla data del rilascio del brevetto stesso. Nel corso del terzo anno di guerra Ferrari ritrova un momento di serenità, e forse di speranza, quando riceve la visita - in veste di ufficiale - di un vecchio amico, Trossi, accompagnato da Villoresi, dal Conte Lurani e da Franco Cortese. Per un giorno intero la compagnia festosa scaccia i pensieri di guerra, e ripensa ai bei tempi passati assieme nei campi di gara, con la speranza che questi momenti possano tornare a breve. Ferrari parla del momento in cui la guerra finirà e riprenderà l’attività sportiva, progettando nuove vetture e riprendendo progetti già in corso d’opera.
"Se salvo qualcosa, se non mi portano via tutto, verrà il momento, ne sono sicurissimo, che potrò dedicarmi soltanto alla costruzione di automobili da corsa e che mi permetterà di veder correre le mie macchine, ogni domenica, contemporaneamente in due o tre parti del mondo".
Nel frattempo, però, a Modena iniziano a spuntare gli orti di guerra, vale a dire dei giardini pubblici o piccoli giardinetti scolastici trasformati in appezzamenti di terreno usati da cittadini e scolari per coltivare ortaggi e legumi per spirito di compartecipazione con i militari mandati al fronte. Poco già tardi, sempre nel corso dell’annata 1942, quando i bombardamenti alleati iniziano a distruggere le città italiane e il governo vara la legge sul decentramento industriale, Ferrari prende in considerazione l’ipotesi di trasferire il settore produttivo dell’azienda al di fuori del centro abitato di Modena, per evitare un possibile bombardamento delle strutture preposte alla produzione delle rettificatrici oleodinamiche. A meno di venti chilometri dalla sua città, a Carpi, che per Ferrari ha un significato particolare a livello personale perché è il paese natale del padre, il costruttore modenese trova delle vecchie strutture in disuso. Ripristinando questi stabilimenti, Ferrari potrebbe trasferirvi la produzione di rettificatrici oleodinamiche, mentre nella palazzina di viale Trento Trieste - presente a Modena - rimarrebbe l’assistenza per i vecchi clienti della Scuderia Ferrari e la parte di progettazione automobilistica che in realtà non si è mai del tutto fermata. Ma le autorità locali si oppongono. Pertanto, la ricerca di Ferrari continua e questa volta, guardando a sud della città, trova nel comune di Formigine un piccolo centro lungo la statale dell’Abetone, distante una decina di chilometri da Modena, un’area che può interessargli. Ma anche stavolta Ferrari trova la ferma opposizione delle autorità locali, in particolare quella del podestà, che gli impedisce l’acquisto del terreno. Ferrari non si arrende e ancora una volta si mette alla ricerca: è così che trova un’area disponibile all’intento del comune di Maranello, il centro abitato successivo a quello di Formigine. Tra l’altro a Fiorano, il comune limitrofo a quello di Maranello, Ferrari possiede già un terreno comprendente una spaziosa casa colonica, acquistato anni prima con la liquidazione percepita dall’Alfa Romeo. Il podestà di Maranello concede e agevola a Ferrari l’acquisto del Fondo Cavani, di proprietà dei coniugi Colombini, limitrofo a quello già di proprietà di Ferrari: unendo i due terreni, la superficie totale raggiungerà un’unità di 300.000 metri quadrati.
A fine Novembre del 1942 Ferrari avanza la richiesta di licenza edilizia, accettata prontamente, indicando l’utilizzo della struttura per costruzione di macchine agricole, e nel Settembre del 1943 vi trasferisce l’attività. La nuova sede aziendale, che sorge alle porte di Maranello, provenendo da Modena, ha una superficie decisamente più estesa di quella presente a Modena, in viale Trento Trieste. In questo modo, nel 1943 l’Auto Avio Costruzioni si espande, potendo così contare sul supporto di 160 dipendenti, di cui la quasi totalità si occupa della lavorazione delle rettificatrici oleodinamiche. Sulla parte sinistra della via Abetone, al civico 4, Ferrari erige una costruzione lunga e stretta, contrassegnata dai muri di colore giallo, come a Modena, e le tegole rosse, che forma una sorta di triangolo. Due lati vengono occupati interamente da edifici, lasciando libero quello che affaccia lungo la statale, dal quale si accede al grande cortile interno, lungo solo un terzo dell’intera distanza. Ciononostante, Enzo Ferrari decide di non spostare la sua residenza a Maranello, nonostante il fatto che la fornitura di carburante è razionata e quindi non può viaggiare in automobile per raggiungere Maranello. In questo periodo, Ferrari si sposta da Modena a Maranello in bicicletta, percorrendo solitamente i viottoli di campagna che seguono il corso dei fossi, evitando la strada principale, seppur rettilinea, per sfuggire ai frequenti mitragliamenti aerei degli aerei Alleati. Con Ferrari è sempre presente Peppino Verdelli, che è diventato il suo accompagnatore ufficiale, ed a loro, in alcune occasioni, si aggiunge anche suo figlio Dino. Sono quaranta i chilometri che Ferrari e Verdelli devono percorrere in un giorno (venti all’andata e venti al ritorno): un numero destinato ad aumentare nel momento in cui Ferrari va a trovare Lina, che nel frattempo si è stabilita in una casa di proprietà di Ferrari, in campagna, nella località Settecani, presente all’interno del comune di Castelvetro. E Verdelli, che anche in questi spostamenti gli fa compagnia, raccoglierà i suoi segreti. Questo tipo di vita prosegue regolare, nonostante la guerra in corso, fino a mercoledì 8 Settembre 1943, giorno in cui l’esercito tedesco decide di occupare lo stabilimento di Enzo Ferrari presente a Maranello, trattandosi pur sempre di una fabbrica ausiliaria a scopi bellici. Entrando nello stabilimento, l’ufficiale incaricato di effettuare l’inventario rimane stupito dalla quantità di macchine utensili prodotte dall’azienda, e con una certa ironia esclama:
"Signor Ferrari, so che fate delle ottime rettificatrici tedesche, e perciò tutto quello che state costruendo viene da noi requisito".
All’officina viene dunque ordinata la piena attività, e a Enzo Ferrari e ai suoi mezzi motorizzati viene rilasciato uno status operativo privilegiato, inoltre, alle maestranze verrà concesso un salvacondotto utile a tutelare i loro movimenti, incluso l’esonero dal coprifuoco. Nonostante lo spostamento verso gli Appennini, la nuova sede dell’Auto Avio Costruzioni viene bombardata due volte dagli aerei Alleati, rispettivamente sabato 4 Novembre 1944 e nel Febbraio 1945, e in entrambi i casi non ci sono delle vittime, ma solo gravi danni alle strutture. Inoltre, da mercoledì 8 Settembre 1943, il nemico è in Italia: non solo i nazisti si sentono traditi, ma sono presenti anche gli esponenti della Repubblica di Salò, che a Modena occupano il Palazzo Ducale e instaurano un vero e proprio regime del terrore. Ma non sono gli unici. Ci sono dei nemici, invisibili, disperati e, in particolar modo in Emilia, esasperati: i partigiani. Nella loro lotta per sopravvivere non fanno distinzioni tra chi sostiene il Regime, chi peggio ancora sostiene la Repubblica di Salò, e chi ha accettato lo stato delle cose, continuando la propria vita senza allearsi con nessun fronte politico. Ferrari non è un fascista, ma soltanto un realista. Ha preso la tessera solo nel momento in cui è diventata obbligatoria per poter viaggiare all’estero, e non ha mai avuto particolari favori dal Regime condotto da Benito Mussolini. Le sue amicizie con alcuni esponenti del partito fascista, più che altro solo a livello locale, non sono certamente responsabili della sua ascesa durante gli anni Trenta e nemmeno per il benessere che la sua azienda ha generato per la sua famiglia e per le trecento famiglie durante gli anni di guerra. Durante il regime fascista Ferrari combatte la sua battaglia personale, non politica, bensì privata contro le ingiustificate violenze, come ad esempio avrebbe potuto essere il caso di Enzo Levi, avvocato di fede israelita che gli suggerì di dare il suo nome alla Scuderia Ferrari, invece di quello latino di Modena.
Ferrari, venuto a conoscenza che gli squadristi lo stanno aspettando alla stazione di Bologna per malmenarlo e fare chissà cos’altro con la sua persona, lo attende con la sua automobile a ridosso dei binari del treno, per poi prelevarlo e portarlo alla massima velocità verso Modena. Non a caso, dopo un lungo inseguimento gli squadristi non sono capaci di eguagliare le doti di guida di questo speciale autista. Questa fuga è giustificata da una sana dose di spavalderia giovanile, ma anche dalla certezza che le sue importanti amicizie con il partito fascista, come il Conte Testa, il Senatore Vicini e lo stesso Leandro Arpinati, continueranno a proteggerlo in qualche modo. In una piccola città come Modena, il gesto di Enzo Ferrari potrebbe diventare di dominio pubblico e qualche squadrista più ribelle potrebbe saldare il conto a suo modo, ma resta il coraggio e la generosità di Ferrari di aiutare un amico in difficoltà, in un’Italia che sta raccogliendo sul tema dell’antisemitismo sempre più consensi. Enzo Ferrari sa di non poter cambiare una situazione politica già ampiamente favorevole alla popolazione, come tanti altri artigiani e industriali, e di conseguenza indirizza la sua attenzione sul proprio lavoro. Anni dopo, Ferrari affermerà che il fascismo è stato condannato il 25 Luglio dal fascismo stesso, non da altri. Il costruttore modenese non prende mai una posizione chiara e anzi, durante l’occupazione dell’esercito tedesco nella sua nuova struttura a Maranello lascia la libertà di movimento a quel gruppo di operai che, in clandestinità e di notte, forgiano chiodi a tre punti per i partigiani, che a loro volta li usano per bloccare le colonne blindate naziste. Ferrari sa bene che nel momento in cui quegli operai sarebbero stati scoperti, i tedeschi non avrebbero fucilato solo loro. E sa anche che in una delle stanzette più appartate dello stabile in viale Trento Trieste, a Modena, alcuni suoi operai stanno riparando armi per i partigiani. Inoltre, nel suo palazzo di largo Garibaldi a Modena, precisamente al primo piano, Ferrari dà asilo alla madre di Sandro Cabassi, partigiano ucciso dai repubblichini, ed è a conoscenza del fatto che nello stesso appartamento si riuniscono esponenti antifascisti e membri del Partito Comunista Italiano clandestino.
La situazione è similare a quella di Luigi Ranuzzi, partigiano conosciuto con il nome di battaglia di Caminito: ferito dai nazisti, viene medicato d’urgenza in fabbrica a Maranello, e successivamente e Ferrari decide di ospitarlo e nasconderlo per mesi in uno dei sottotetti dello stabilimento. Per di più, Ferrari gli presta in più occasioni uno dei furgoncini dell’Auto Avio Costruzioni, con il quale Ranuzzi fa da spola con i compagni rifugiati in montagna. Grazie al lasciapassare che l’esercito tedesco ha consegnato a Ferrari, per cui i suoi mezzi e le persone della sua azienda possono circolare liberamente anche con l’entrata in vigore del coprifuoco, Ranuzzi vede salva la vita una sera: i nazisti, fermando uno dei suoi mezzi, non perquisiscono il furgone con l’autorizzazione di circolazione che ha in possesso, e Caminito può portare armi e munizioni ai partigiani nascosti nei boschi sopra a Montefiorino. Non solo i partigiani, ma anche degli ebrei vengono aiutati da Ferrari, di più di quanto già fatto per l’avvocato Levi prima della guerra. È il caso di una donna polacca con i suoi tre figli piccoli. Enzo Ferrari, portandoli in salvo dai tedeschi, si prende personalmente cura di loro, in silenzio e a rischio dell’incolumità personale, nascondendoli in un cascinale tra la città e la collina fino al termine della guerra. Ferrari acconsente anche a custodire sotto un albero dei suoi terreni a Fiorano una cassetta contenente i soldi del CLN (Il Comitato di Liberazione Nazionale, un'organizzazione politica e militare italiana costituita dai principali partiti e movimenti antifascisti del Paese, formatasi a Roma il 9 Settembre 1943, allo scopo di opporsi al fascismo e all'occupazione nazista in Italia; si scioglierà nel 1947), transitata all’interno di una scatola per fiammiferi attraverso il solito furgoncino dell’Auto Avio Costruzioni; saranno i fratelli Aldo e Mario Barozzi (quest’ultimo col soprannome Sereno, operaio della Scuderia Ferrari, che farà da padrino al battesimo del secondogenito di Enzo Ferrari, Piero Lardi). E, nel suo appartamento a Modena, ad occultare l’archivio del Partito Comunista. Inoltre, contribuisce economicamente al movimento della Resistenza, versando una somma di mezzo milione di lire in banconote da mille.
Ma non è tutto: dopo l’8 Settembre 1943 le macchine rettificatrici, debitamente imballate dalla fabbrica, venivano trasportate a Formigine, che detiene lo scalo ferroviario più vicino a Maranello. Da qui i macchinari avrebbero dovuto percorrere la via verso Modena e il successivo collegamento con il Brennero; tuttavia, svaniranno nel nulla. Nessuna rettificatrice raggiungerà mai la Germania. Poiché mancherà negli archivi della Scuderia Ferrari la documentazione relativa al trasporto delle rettificatrici, non si sa se queste abbiano mai raggiunto Formigine, e/o che fine abbiano fatto. Nonostante ciò, Enzo Ferrari finisce nella lista nera di alcuni reparti partigiani. Quando, nella primavera del 1945, con la fine della guerra prendono il controllo della situazione approfittando del caos istituzionale, le brigate partigiane uccidono Edoardo Weber, imprenditore e progettista di carburatori, nonché amico di Ferrari, considerato un collaborazionista. Nel 1945, appena finita la guerra, la fabbrica si predispone a riprendere le attività quando, giovedì 17 Maggio, a causa delle sue simpatie per la Repubblica di Salò, Edoardo Weber viene prelevato da tre partigiani che lo invitano a seguirli; da questo giorno, di Edoardo Weber, spariscono le tracce. Quarant’anni più tardi, il dottor Giuseppe Zanarini confessserà che il nome successivo - nella lista delle uccisioni per mano delle Gap (i Gruppi di Azione Patriottica, formati dal comando generale delle Brigate Garibaldi alla fine dell'Ottobre 1943, erano piccoli gruppi di partigiani che nacquero su iniziativa del Partito Comunista Italiano per operare prevalentemente in città, sulla base dell'esperienza della Resistenza francese; ma è importante sapere che, per estensione, erano denominate Gap anche le meno numerose unità partigiane cittadine socialiste e azioniste) - sarebbe stato quello di Enzo Ferrari, e che colui che avrebbe preso la decisione finale sul condannare o salvare il costruttore modenese sarebbe stato proprio egli stesso, in qualità di persona incaricata di riscuotere i tributi in denaro per il CLN. Una mattina d'Ottobre del 1944, nello studio di Enzo Ferrari, presente all'interno della sede della Scuderia Ferrari di Modena, in via Trento e Trieste si presenta un medico di San Cesario, Giuseppe Zanarini, sotto le spoglie del partigiano Altavilla. Ufficialmente si presenta solo per chiedergli soldi per il CLN:
"Contributo alla lotta di liberazione".
In realtà è lì per studiarlo, per giudicarlo, e per pronunciare una sentenza. Ferrari non lo sa, ma è condannato a morte. I Gap vogliono ucciderlo per collaborazionismo coi tedeschi; Ferrari lo ha capito; potrebbe umiliarsi, o cercare di comprarsi la vita. Invece paga. Pochi minuti dopo, il partigiano Altavilla pedala verso il suo nascondiglio segreto; sulla canna, legato con lo spago, vi è un pacco con 500 banconote da mille lire. Una piccola fortuna. Così come faranno anche altri imprenditori a Modena e in altre zone d'Italia, anche Enzo Ferrari paga, regolarmente. Terminata la guerra in Italia in data mercoledì 25 Aprile 1945, nel Maggio del 1945, pochi giorni dopo la scomparsa di Weber (avvenuta giovedì 17 Maggio 1945), Zanarini incontra Ferrari nella sede della Scuderia Ferrari di Modena, in via Trento Trieste. Questa è una visita precedentemente concordata: Ferrari è in compagnia di tre o quattro uomini. Ma prega Zanarini di rinviare l'incontro:
"Ho un forte mal di testa e non ho dormito".
Ammette il costruttore modenese, probabilmente scioccato per quanto accaduto all'amico Weber. Ferrari, infatti, ha il volto pallidissimo e gli occhi arrossati, oltre ad un lieve tremito delle mani. A questo punto, a quanto risulta dai diari ritrovati di Giuseppe Zanarini, cinque giorni più tardi, poco prima di incontrare nuovamente Ferrari a Modena intorno alle ore 10:00 a.m., nei pressi della sede della Scuderia Ferrari un ragazzo dei Gap sbuca dalla nebbia, in bicicletta, e dice al compagno:
“È stata decisa l'eliminazione di Ferrari, ma prima di procedere ci serve il tuo giudizio. Facci sapere fra tre giorni".
Zanarini osserva che gli elementi di valutazione dei quali dispone per un simile giudizio sono inadeguati. Politicamente, deve fondere in quella valutazione il giudicato ed il giudicante.
"Si aspetta solo te, come ultima istanza, per decidere".
Ripete il compagno, prima di scomparire nella nebbia, come era venuto. Zanarini entra nella sede della Scuderia Ferrari, mentre nella mente balenano i Girondini e i Montagnardi della Rivoluzione francese, Danton, Robespierre, sentendosi fuori dalla storia in cui vive. Non avrebbe dato giudizi di sorta, in base alla situazione politica in atto, ma solo in rapporto alla condizione storica che aveva per vent'anni condizionato gli Italiani, da ambo le parti. Un giudizio di valore, insomma, da definire di fronte all' uomo, e quest'uomo amava terribilmente una sua idea di costruttore. La sua idea era nei fatti; il suo fascismo, in quell'amore. Più che un pensare, Zanarini è colto da un balenare di intuizioni e di sentimenti, mentre passa accanto alle macchine incorse in visibilissimi incidenti. Poi si presenta a Ferrari, indifferente. Il costruttore è allertato, forse preavvertito, e non commette l'errore di offrire denaro, ma preferisce puntare sui contenuti.
"Ho faticato tanto per costruire e realizzare un sogno che era nato nell'officina di mio padre, quando ero ragazzo. Mio padre era un gran lavoratore, da lui ho imparato la tenacia... Non mi dispiace per me. Mi dispiace per il lavoro che resta da fare".
Ferrari appare invecchiato di dieci anni. Evidentemente percepisce o, forse, ha capito che la morte dell'amico Edoardo Weber, industriale bolognese dei carburatrori giustiziato in strada dai Gap per le sue origini tedesche e le sue simpatie repubblichine, è per lui un annuncio di morte. Di fronte all'uomo e alla sua impresa, Zanarini non se la sente di contribuire a un giudizio di morte. E, dopo tutto, quale compito, se non di ordine finanziario, gli era stato assegnato? Ora, così come non avrebbe fatto niente per coprire il condannato politicamente, niente avrebbe fatto per perderlo come fattore di movimento. Cataste di cadaveri segnano il finire del nazifascismo, e il CLN è in cerca di denaro. Ancora una volta, Zanarini dice a sé stesso:
"L'argent fait la guerre".
E qui è in gioco la vita di un cavallino rampante. Va così riflettendo, mentre l'incontro volge al termine. Ferrari versa la sua quota. Ma Zanarini gli dice che ne occorre un'altra, uguale, entro una settimana. La richiesta va oltre i limiti previsti, arbitrariamente inserita in un ordito che non prevede più niente a carico di un condannato, dato che il versamento di quel giorno sarebbe stato l'ultimo.
"Non posso".
Risponde Ferrari.
"È necessario".
Ribatte Zanarini, né avrebbe più avuto altro da dire se Ferrari fosse rimasto sul negativo. Un silenzio denso di significati intercorre tra la risposta di Zanarini e quella di Ferrari.
"Mi occorre più tempo".
Risponde Ferrari.
"Quanto tempo?"
Ferrari chiede almeno dodici giorni. Zanarini esce dalla sede della Scuderia Ferrari, e si reca in Via Iacopo Barozzi con le cinquecento banconote da mille lire, dove sarà raggiunto da Alfeo Corassori, il futuro sindaco di Modena. Il giorno successivo, all'ora prefissata, lungo una strada periferica, Zanarini dice al compagno che aspetta il suo giudizio sulla già decisa eliminazione di Ferrari:
"È un lavoratore molto impegnato nella sua impresa. Se gli si lasciano altri dieci o dodici giorni verserà un altro mezzo milione. Si tratta di sapere se, denaro a parte, la Guerra di Liberazione può guadagnare di più con un Ferrari vivo o con un Ferrari morto".
Il dilemma, così proposto, riporta all'ordine razionale e politico un problema che in sede di potere è già stato risolto. Trascorreranno altri cinque giorni, prima che Zanarini incontri nuovamente il messaggero del Gap modenese. Quest'ultimo chiede se Zanarini intendesse confermare la già espressa valutazione. Zanarini la conferma e aggiunge:
"Di fronte a casi del genere, di vita o di morte, non sono abituato a lavarmene le mani".
In realtà, Zanarini aveva scelto sempre per la vita: anche quando, a Bologna, nell'Aprile del 1944, un certo Dario gli aveva chiesto di assumere un ruolo nella Operazione Grande Italia, la quale prevedeva di avvelenare gli ufficiali della Wehrmacht, che frequentavano il ristorante Grande Italia, in Via dell'Indipendenza. Ma Zanarini rispose, anche in quell'occasione:
"Ho studiato medicina per salvare vite, non per sopprimerle".
Ferrari fa dunque ricorso a tutte le sue risorse e pochi giorni più tardi versa la somma promessa. Ferrari pagherà, svenandosi: ma la vita è salva. Ferrari non è un nemico. E tra i due nascerà perfino un’amicizia tra i due, tant’è vero che Enzo Ferarri gli regalerà una copia firmata del libro Le mie gioie terribili in data 22 Marzo 1963. Nel 1987 Zanarini spedirà a Ferrari una copia del libro nel quale l’ex partigiano racconterà l’accaduto, e il costruttore modenese gli risponderà venerdì 3 Aprile 1987:
"Caro Altavilla, ho letto con interesse retrospettivo le tue quarantasei pagine. Conoscevo abbastanza certe cose, altre le ho apprese sorprendendomi. È una vita tormentata e tormentosa. L’augurio che ti mando è di un poco di pace in questa tua nuova residenza. Cari saluti, Ferrari".
Ciononostante Ferrari non viene eliminato e anzi, esponenti del Partito Comunista non hanno dubbi nel dire che come antifascista e democratico fece la sua parte a favore della guerra per la liberazione. Inoltre, proprio Enzo Ferrari sarà l’unico industriale modenese a donare ad ogni suo dipendente 1500 lire per celebrare la fine della guerra, e il ritorno della pace. E molti anni più tardi, martedì 20 Febbraio 1979, in occasione dell’ottantunesimo compleanno di Enzo Ferrari, l’Associazione Partigiani d’Italia si recherà a Maranello e ufficialmente - senza solennità come lui pretese fosse la cerimonia - gli conferiranno la Medaglia d’oro della Resistenza. Tornando per un attimo a parlare dell'amicizia che nacque tra Enzo Ferrari e il dottor Giuseppe Zanarini, bisogna sottolineare che quest'ultimo chiese la cortesia di trovare un'occupazione per il fratello, Antonio Zanarini. E Enzo Ferrari, nel 1945, lo prese all'interno della Scuderia Ferrari con l'incarico di Procuratore per l'acquisto di determinate forniture. Alla prematura scomparsa di Antonio Zanarini, nel Dicembre del 1957, Enzo Ferrari invierà una lettera di cordoglio al dottor Giuseppe Zanarini, nella quale si legge:
"Caro Zanarini, la tua 15 corr. mi reca una dolorosa notizia17 e non fatico a comprendere tutto quello che tu hai sofferto e che dovrai soffrire per la dipartita del caro Antonio. Anche il mio Dino fu colpito da emorragia cerebrale e dopo cinque giorni spirò. Assistendo alla morte di persone tanto care viene spontaneo il domandarsi: che cosa ci resta? Ma poiché l'uomo è una bestia con uno spirito di adattamento formidabile, mi sono convinto che si può imparare a vivere anche senza amare la vita e soprattutto senza capire il perché si è venuti al mondo. Con gli auguri migliori per te e per i tuoi cari. E. Ferrari. Modena, 26 gennaio 1957".
Giuseppe Zanarini è nato a Codigoro (Ferrara) il 21 Dicembre 1910, ma la famiglia è originaria di Sestola (Modena). Si laurea a Bologna nel 1939 pur avendo subito nel 1936 un procedimento di radiazione dalle Università del regno per propaganda antifascista. Comunista, allievo di Gramsci, durante la Seconda Guerra Mondiale è partigiano e segna pagine importanti nella Guerra di Liberazione: a seconda dei compiti (segretario politico alla Repubblica di Montefiorino, esattore per finanziare la lotta armata, medico clandestino, collaborazionista con le forze antifasciste) si fa chiamare con pseudonimi diversi, da Sasso a Marsili, da Bevilacqua ad Altavilla. Sua la scoperta e la consegna alle forze partigiane dei piani di fortificazione della celebre Linea Gotica, atto che gli varrà un encomio ufficiale della regina d'Inghilterra, onorificenza rifiutata. RadioMonaco, nel Novembre del 1943, lo cita come nemico da abbattere a vista, viene condannato a nove anni dal tribunale speciale nazifascista. Durante la Resistenza rischia più volte la vita, combattendo strenuamente fra i monti emiliani. Dopo la guerra viene chiamato dalla direzione del PCI a Botteghe Oscure: vi rimane qualche tempo collaborando in stretto contatto con Umberto Terracini, poi la scelta di recarsi a Chieti, per rimettere in sesto una sezione del Partito Comunista; ad obiettivo raggiunto, dopo qualche anno, raggiunge le coste settentrionali dell'Africa per lavorare come medico in un campo per l'estrazione del petrolio della società inglese BP. Vi rimane oltre un anno, poi rientra a Roma. Quando nel Maggio 1945 Enzo Ferrari non è consapevole di avere o meno un futuro, riceve la gioia di un secondo figlio. Ma la madre non è la moglie, Laura Garello, bensì Lina Lardi degli Aleardi, la donna con cui Enzo Ferrari ha una relazione extraconiugale sin dal 1929. Pertanto, Dino non sarà a conoscenza per anni di avere un fratello. Nell’autunno precedente, Lina Lardi, sapendo di essere incinta, non sapeva quale potesse essere la reazione di Enzo Ferrari, che aveva e ha pur sempre una moglie e un figlio: ma la reazione di Ferrari è di pura gioia, benché abbraccia Lina stringendola a sé, al momento dell’annuncio. La situazione già per sé difficile ora si complica ancor di più, ma per pensare a come affrontarla ci sarà tempo. Ferrari affronta una situazione alla volta è questo è il momento della felicità.
“E come lo chiamiamo?”
È la prima cosa che chiede Enzo Ferrari dopo l’abbraccio a Lina. La donna suggerisce il nome del fratello morto due anni prima, Piero, e Ferrari accetta la proposta. Martedì 22 maggio 1945 nasce Piero Lardi, a Castelvetro, in provincia di Modena. La guerra è terminata da meno di un mese, Dino Ferrari ha tredici anni ed Enzo Ferrari ha salva la vita da meno di una settimana. Il costruttore modenese non sceglie un parente come padrino del bimbo, bensì Mario Barozzi, un suo vecchio collaboratore dei tempi della Scuderia Ferrari, conosciuto da Enzo Ferrari e dai partigiani con il nome di battaglia di Sereno. Fino alla metà del 1946 continua la produzione delle macchine utensili, che sono servite per sopravvivere durante la guerra. L’idea di Ferrari è quella di mantenere in moto la produzione solo per finanziare lo sviluppo e la costruzione della sua prima automobile. Successivamente, Enzo Ferrari ripropone i vecchi disegni tecnici e inizia a cercare un ingegnere, tra quelli che gli sono stati vicini prima e durante la guerra, che sia ancora vivo. Tra questi, tova un sopravvissuto, Gioacchino Colombo, il grande tecnico con cui ha condiviso momenti importanti nella seconda parte degli anni Trenta. Nell’Agosto del 1945 Enzo Ferrari convoca Colombo a Maranello e inizia immediatamente a lavorare con lui. Ma poiché Colombo è un dipendente Alfa Romeo, quest’ultimo non si trasferisce in Emilia, bensì rimane nella sua casa a Milano a disegnare. La sua prima automobile da corsa, chiarisce Ferrari, dovrà avere un motore a dodici cilindri, il propulsore che lo affascina da sempre, quello da lui notato sulle automobili degli ufficiali americani durante la Grande Guerra e quello che Antonio Ascari aveva acquistato nel 1919. Per seguire questa strada, Ferrari prende in carico anche l’indicazione tecnica ripetuta più volte da Raymond Sommer, pilota che stima come pochi altri, il quale ritiene il motore dodici cilindri senza compressore la scelta ideale per il futuro. Colombo si dice d’accordo. Inoltre, il motore il dodici cilindri, se accompagnato dal compressore, diventerebbe ideale per le gare Grand Prix, che è l’obiettivo dichiarato a cui ambisce Enzo Ferrari. Le critiche non mancano sulla scelta di Ferrari di realizzare un propulsore ritenuto complesso e poco utilizzato in passato, e neppure le accuse di voler fare il passo più lungo della gamba. Ma Enzo non si cura di tutto ciò, poiché sa di poter contare sul prezioso ritorno di Luigi Bazzi perché come dice lui:
“Con la sua abilità nella messa a punto dei motori mi tranquillizzava”.
Colombo, così contagiato dall’entusiasmo di Ferrari, inizia a scrivere su carta le prime idee sul motore 12 cilindri nel giorno di Ferragosto del 1945 (15 Agosto), mentre trascorre la giornata festiva seduto nel giardino della casa di campagna della sorella. Il lavoro di progettazione continua nel suo studiolo a Milano e, prima della fine del mese d’Agosto, le sue prime bozze vengono visionate da Ferrari. Colombo prosegue il suo lavoro nel mese di Settembre e a Ottobre mostra a Ferrari le quattro viste a colori dell’automobile. I disegni sono contraddistinti dalla sigla C che sta per Colombo. I direttori dell’Alfa Romeo, evidentemente superati i rancori del passato, vedono con benevolenza la nuova avventura di Ferrari e acconsentono, per tradurre in lucido i disegni di Colombo, a spedire a Modena il giovane disegnatore Luciano Fochi, uomo di fiducia dello stesso Colombo. Il lavoro di Colombo e suoi uomini continua per tutto l’inverno e la primavera del 1946, a cui si comprendono gli studi di ogni soluzione possibile di Colombo, accompagnate dalle animate discussioni di carattere tecnico con Ferrari. Una volta presa una decisione, la squadra passa alla realizzazione del progetto. Mercoledì 5 Giugno 1946, nel periodo in cui gli italiani votano il referendum istituzionale per il nuovo governo, di cui Ferrari preferisce il mantenimento della monarchia, non tanto perché sia monarchico, bensì perché resistente alle novità, Ferrari visiona il primo disegno del telaio. Poi, mercoledì 10 Luglio 1946 visiona il progetto della sezione longitudinale del gruppo motore-cambio e lunedì 5 Agosto 1946 la sezione trasversale. Da questo momento in poi Enzo Ferrari, consigliato da Colombo, affida la gestione tecnica al giovane Giuseppe Busso, ingegnere di Torino richiamato a Milano dall’Alfa Romeo, appena rinata dalle ceneri della guerra. Dopo i bombardamenti subiti negli ultimi mesi di guerra, la fabbrica di Maranello viene ricostruita e i nuovi reparti si presentano moderni e ben attrezzati, con i tavoli da lavoro illuminati da ampie finestre. Nell’estate 1946 si contano 300 operai. La maggior parte di loro lavora alla costruzione del motore dodici cilindri per rispettare la tabella di marcia imposta da Ferrari, mentre la restante parte degli addetti realizza rettificatrici oleo-dinamiche, ma tra non molto anch’essi verranno spostati al reparto automobili. Talmente orgoglioso della propria fabbrica, Enzo chiama Canestrini, l’amico giornalista della Gazzetta dello Sport, per invitarlo a visitare la fabbrica. Nel suo articolo, dove battezza i primi passi di Ferrari come costruttore, Canestrini indica nel segreto di Lione, tra cui è tra i pochissimi al corrente di ciò, il punto di partenza della nuova avventura come costruttore del modenese. Prima del giro in fabbrica, Ferrari spiega a Canestrini che la vettura che sta per nascere non avrebbe dovuto essere solo una vettura di eccezione, che dovrà fare onore alla tecnica e al lavoro di Ferrari, ma anche una macchina alla portata di una vasta clientela e dovrà costare poco. Ferrari pensa che la nuova automobile non dovrà solo essere utilizzata dai piloti della Scuderia Ferrari, ma dovrà avere anche un utilizzo riservatamente privato per quei gentleman driver e professionisti a quali la venderà.
“Fra due mesi il motore sarà sul banco; alla fine dell’anno la vettura sarà pronta”.
Confida orgogliosamente Ferrari, mentre mostra a Canestrini i vari reparti e in particolare i pezzi in lavorazione. E conoscendo Ferrari da vent’anni, Canestrini non ha modo di dubitare delle parole del costruttore modenese, raccontando ai suoi lettori, che la tabella di marcia sarà rispettata:
“Sono certo che non mancherà all’appuntamento. Egli ha tutto predisposto con accuratezza, con precisione. Giorno per giorno, un nuovo pezzo, un nuovo organo del nuovo prodotto vengono immessi nel ciclo di produzione. Prima si costruirà la vettura sport, poi quella da corsa, secondo un programma razionale, industrialmente concepito e realizzato”.
Canestrini lascia Maranello in serata, ritenendo di sapere che Enzo Ferrari non vuole solamente vincere la sua battaglia di costruttore, ma anche e soprattutto quella di industriale. La guerra non ha certo sottratto a Ferrari l’ambizione di una nuova sfida, ma per quanto sia convinto di poter produrre un buon numero di unità della sua prima vettura, difficilmente lo si vedrà nelle vesti di industriale, riconoscendolo più familiarmente come costruttore. L’obiettivo di Enzo Ferrari è quello di arrivare a fare ciò che ha visto in Alfa Romeo circa venticinque anni prima, cioè fabbricare una vettura al giorno. Per quanto costruire 300 automobili all’anno sia un obiettivo tanto ardito, si parla sempre di una cifra da costruttore e non da industriale. Nel mentre, Busso, persona ostinata e capace, prende in mano il lavoro iniziato da Colombo, e giovedì 26 Settembre 1946 il motore dodici cilindri di 1500 cc di cilindrata gira sul banco per la prima volta, rispettando la scadenza comunicata in Luglio da Enzo Ferrari all’amico giornalista Canestrini. La potenza del motore è di settanta cavalli, una buona cifra, ma Ferrari ne vuole di più. Busso spiega che la perdita di potenza è imputabile all’eccessiva frammentazione della cilindrata. In autunno vengono provati nuovi esperimenti. Busso prova ad alzare il regime di rotazione del motore per trovare maggiori prestazioni, ma si presentano delle rotture alle valvole e dei guasti alle bronzine. Colombo ipotizza di utilizzare per le bielle delle bronzine flottanti, cosicché siano libere di girare sui perni dell’albero motore distribuendo l’usura sulle due facce, ma l’idea non funziona, mentre Busso pensa di considerare delle bronzine normali. Il problema verrà infine risolto con l’intervento di Giulio Ramponi, tecnico Alfa Romeo che Enzo Ferrari conosce fin dai tempi della Scuderia Ferrari, tornato in Italia dopo la prigionia in Inghilterra. Ramponi, proprio in terra britannica, era stato impiegato nell’industria aeronautica e conosce personalmente le nuove bronzine a guscio sottile prodotte dalla Vanderwell. Richiamato a Maranello da Ferrari, Ramponi risolve il problema grazie alle bronzine Thin Wall spedite dall’Inghilterra. Superato questo problema, Bazzi prende in mano la situazione: mago dei motori qual è, e per il quale non tradisce le speranze poste in lui da Ferrari, lavora pazientemente sul motore alla ricerca di soluzioni per la fasatura della distribuzione, la carburazione e l’accensione, ed è capace di incrementare la potenza massima fino a portarla a 118 cavalli. Ferrari, che vuole avere un telaio rigido e leggero, si rivolge all’azienda milanese Gilco, specializzata nella lavorazione di tubi d’acciaio ad alta resistenza per l’industria aeronautica.
Tuttavia, successivamente Ferrari si rende conto di aver sottovalutato l’importanza dell’autotelaio per questa prima vettura, definita una macchina ortodossa che non compendia nessuna particolare esperienza, puntando tutto sulla potenza del motore, convenzionale ma d’eccezione. La sigla che Ferrari assegna a questa nuova vettura è 125. Il numero si riferisce alla cilindrata unitaria di ogni cilindro; infatti moltiplicando 125 per il numero di cilindri, dodici, si ottiene la cilindrata, ovvero 1500. È probabile che Ferrari abbia pensato da tempo a questa intuizione. La sigla sarà accompagnata da una o più lettere dell’alfabeto e Ferrari pensa per la 125 alla S di Sport, alla C per Corsa e alla G di Grand Prix. Nel Dicembre 1946 Ferrari perfeziona il contratto di Franco Cortese, che diviene il suo primo pilota ufficiale. Classe 1903, non più giovanissimo, Cortese ha già corso per Ferrari nel 1930, ai tempi della Scuderia Ferrari. Cortese è un pilota non particolarmente veloce e non particolarmente amato da Ferrari, ma affidabile e di grande esperienza. Ferrari gli riconosce doti di fondo per stile e capacità tecnica; l’uomo adatto per la presentazione di una macchina nuova, che non aveva mai corso. Nel contratto Ferrari propone a Cortese collaudi su strada, presentazione alla clientela e alle esposizioni dei prototipi, partecipazione con il modello 125C e con il modello 125 GP alle competizioni sportive, in cambio di una retribuzione di 600.000 lire italiane, accompagnate dal cinquanta percento dei premi di partenza e di classifica per ogni gara a cui parteciperà. La restante percentuale dei premi la prenderebbe Ferrari, come ai tempi della Scuderia Ferrari. un’offerta allettante, se non fosse che l’anno prima Ferrari aveva affidato a Cortese il mandato di vendita delle macchine utensili e ora il gentleman driver, diventato pilota ufficiale, perderebbe il suo giro d’affari. Pertanto, Franco Cortese tenta di convincere Enzo Ferrari a proseguire la fabbricazione delle macchine utensili, ma il costruttore modenese non si smuove dalla sua decisione. Sebbene in questo periodo il giro d’affari delle macchine utensili sia ancora importante, Ferrari vuole costruire automobili da corsa. E così, a fine anno, Enzo Ferrari annuncia al mondo che sta costruendo la prima automobile, rinominata con il proprio nome. Alla stampa invia una serie di illustrazioni della berlinetta vista in trasparenza, del motore, e del telaio, compreso un foglio illustrante le caratteristiche tecniche della berlinetta a tre posti: 4500 millimetri di lunghezza, 1500 millimetri sia di larghezza sia di altezza e un peso indicato in ottocento chilogrammi.
Un particolare, alla fine mai realizzato, sarebbe stato il comando al volante. Agli sportivi a cui spera di venderla, Ferrari prepara un opuscolo pieghevole contenente le informazione, la cui copertina è contraddistinta dal Cavallino Rampante in bella mostra. Il titolo è: Programma di fabbricazione 1946/47. L’opuscolo pieghevole descrive i tre modelli, Sport, Competizione e Gran Premio, tutti alimentati dal motore Tipo 125, con le loro rispettive caratteristiche tecniche. Logicamente, essendo ancora in fase di sviluppo e senza una carrozzeria, non c’è nessuna fotografia della vettura, solo un breve testo e la firma rassicurante di Ferrari. L’incessante lavoro della squadra di Ferrari prosegue nell’inverno 1946-1947. Non c’è una scadenza precisa, ma Ferrari spinge affinché i lavori terminino il prima possibile. Nella primavera del 1947 si aprirà la stagione delle corse, quella della ripresa dopo la guerra, in cui Ferrari non vuole mancare agli appuntamenti; a tal riguardo, Federico Giberti, uno degli uomini più fedeli di Enzo Ferrari, essendo stato al suo fianco sin dal 26 Dicembre 1934, viene nominato direttore sportivo. Alle ore 4:00 p.m. di lunedì 12 Marzo 1947 il primo esemplare di 125 viene spinto dall’officina verso il centro del cortile, vicino all’entrata della fabbrica di Maranello. Attorno alla vettura priva di carrozzeria, vi si presentano i tecnici ed i meccanici che hanno lavorato freneticamente alla sua costruzione: tra loro vi sono Busso, Colombo, Bazzi e Nando Righetti, il collaudatore che da quel momento in avanti avrà il compito di preparare l’auto prima della gara del debutto. Enzo Ferrari, in giacca e cravatta e con i capelli oramai più bianchi che grigi, guarda e controlla silenziosamente i suoi uomini, fino a che non si fa largo fra loro per sedersi al volante della vettura. Mettendo in moto, il dodici cilindri sembra tossicchiare, ma gradatamente acquista intensità fino ad arrivare a livelli mai sentiti prima nelle circostanti campagne di Maranello. Dopo aver scaldato il motore per qualche minuto, Ferrari inserisce la prima marcia e percorre qualche metro, fermandosi dinanzi al cancello della fabbrica. Dopodiché, Ferrari imbocca la statale dell’Abetone uscendo a destra dal cancello principale, e si dirige verso Modena. Il costruttore modenese sale con le marce fino a far sfrecciare la 125 e, giunto a Formigine, a tre chilometri di distanza dalla fabbrica, inverte il senso di marcia e torna a Maranello. Ritornato di fronte all’ingresso del suo stabilimento, Ferrari gira a sinistra e si ferma poco lontano dal punto da cui era partito alcuni minuti prima, dove lo aspettano ansiosi i suoi uomini per conoscere l’esito del primo storico collaudo. Ferrari è soddisfatto.
Da questo momento, però, mentre i meccanici terminano il secondo esemplare, il primo - collaudato dallo stesso Ferrari - dovrà sostenere una prova più consistente. Righetti sarà autore della maggior parte del lavoro di collaudo, ma anche Franco Cortese sarà chiamato in causa e lo stesso Enzo Ferrari si risiederà spesse volte sulla sua vettura. Per rivestire il primo telaio, Ferrari pensa di affidarsi ad una carrozzeria di tipo spider, e commissiona questo compito a un artigiano locale di nome Giuseppe Peiretti, benché non sia un suo dipendente. Peiretti realizza la carrozzeria nella fabbrica di Maranello. Il secondo modello avrà, invece, una carrozzeria simile a una monoposto, con piccoli parafanghi asportabili, disegnata personalmente da Busso. Durante la fabbricazione di questo secondo modello, Ferrari sceglie quella che sarà la gara del suo debutto: il Circuito di Piacenza, in programma domenica 11 Maggio 1947. I fidati Meazza e Marchetti trascorrono notti insonni in officina per concludere il montaggio. Sul cofano della 125 Ferrari decide di continuare ad usare il simbolo del Cavallino Rampante, come ai tempi della Scuderia Ferrari, che resta color nero, inquadrato sempre in uno sfondo giallo, il colore di Modena. È il logo che passa dallo scudetto, emblema della Scuderia Ferrari, a una forma rettangolare e decide di chiamare il nuovo logo dell’azienda semplicemente col suo nome, Ferrari. Lo scudo rimane comunque il simbolo dell’attività sportiva del nuovo team di Maranello. Il nuovo logo rettangolare, come lo scudetto, ha sopra posizionati i colori della bandiera italiana, dall’alto il verde, il bianco e il rosso. Mentre, se nella parte bassa dello scudo ci sono da tempo le lettere S e F per Scuderia Ferrari, nella parte bassa del rettangolo viene scritta la parola Ferrari in nero, con la stessa dimensione della bandiera italiana posizionata in alto. In particolare la F è lunga, come già si vede sul catalogo delle passate rettificatrici oleo-dinamiche. Una caratteristica adottata dal logo della Pirelli, con cui Ferrari è molto legato e continua ad avere non solo un ottimo rapporto professionale, ma anche personale per la qualità degli uomini che ha conosciuto fino a vent’anni prima. Il nuovo logo, disegnato dall’ufficio tecnico della Ferrari e realizzato dalla ditta Castelli e Gerosa di Milano, a cui in seguito si affianca la Cristiglio di Bologna, rimane inalterato fino alla stagione 1950. Gli appassionati italiani di corse aspettano con interesse il debutto della nuova vettura di Ferrari. Nei primi giorni di Maggio sono numerosi i quotidiani sportivi che raccontano dell’interesse per l’esordio della 125. Martedì 6 Maggio 1947, alla vigilia della gara, la Gazzetta dello Sport scrive:
“Il successo e l’attrattiva tecnica della gara sono assicurati dalla sola partecipazione della Ferrari. Questa gara è stata scelta da Ferrari per l’esordio della sua nuovissima 1500 e basterebbe questo avvenimento a richiamare sul circuito piacentino l’attenzione del mondo tecnico e sportivo”.
La settimana precedente alla gara, Ferrari scioglie le riserve e decide di schierare due vetture. Una 125 S ad ala spessa (o integrale, come definita da Colombo) a Franco Cortese, e una 125 S Competizione con corpo vettura a sigaro e parafanghi separati a Giuseppe Farina, ormai quarantenne, ma ancora pilota affidabile e veloce. Nelle prove il più rapido è Luigi Villoresi, a bordo di una Maserati 1500, ma Cortese, con la 125 S meno potente, è subito alle sue spalle, grazie al secondo miglior tempo. Farina, invece, è protagonista di due uscite di strada, influite con probabilità dalla poca stabilità dell’auto che, rispetto ai 90 cavalli della 125 S di Cortese, possiede 120 cavalli. Anche la messa a punto ancora acerba delle auto è un fattore che può giustificare i problemi avuti da Farina. Per quanto non abbia subìto conseguenze fisiche, Farina è contrariato e si dirige immediatamente da Ferrari per pretendere la vettura di Cortese per la gara. Ferrari rifiuta e Farina comunica al costruttore modenese che non avrebbe gareggiato; la discussione prosegue ancora domenica mattina, e addirittura fino agli ultimi momenti prima della partenza della gara, ma alla fine solo Franco Cortese prenderà il via. Al segnale dello starter, il collettore di scarico della 125 emette una lunga scia di fumo poco augurante, dettata probabilmente dalla non ancora perfetta carburazione. Cortese conduce un passo conservativo nelle prima fasi di gara, in linea con le istruzioni ricevute da Enzo Ferrari, che sono quelle di sottoporre la 125 ad un test più lungo e completo possibile. Ma nel momento in cui si risolvono i problemi di lubrificazione, Cortese si lancia all’inseguimento delle Maserati 1500 di Angiolini e Barbieri. Da metà gara in poi, Cortese è capace di recuperare dai 3 ai 5 secondi al giro, e tale è la potenza del motore Ferrari e la tenuta di strada della 125 S, che Cortese supera i due battistrada in curva. Ma un’avaria tecnica ferma la corsa di Cortese a soli quattro tornate dalla conclusione.
“Un insuccesso dunque, ma promettente”.
Dice un ottimista Ferrari, nonostante abbia accarezzato il sogno del successo al debutto, mentre Canestrini il giorno successivo alla gara scriverà che senza un banale incidente alla pompa di alimentazione, Cortese avrebbe vinto con netta superiorità. I commenti all’indirizzo della nuova 125 di Enzo Ferrari sono tutti positivi, malgrado la vittoria mancata. Forse, se Farina avesse preso parte alla gara, come afferma ad esempio La Gazzetta dello Sport, Ferrari avrebbe potuto registrare un vittorioso esordio, mentre ha dovuto accontentarsi di un soddisfacente, ma sfortunato, collaudo. E ancora:
“Quello che conta è comunque il fatto che questo nuovo prodotto si è rivelato molto stabile e maneggevole e magnificamente frenato”.
Anche Ferrari e la sua azienda ricevono commenti favorevoli:
“L’esordio della 125 di Ferrari costituiva un avvenimento di grande portata poiché era il prodotto di un nuovo complesso industriale che, dopo mesi di studio e di lavoro, veniva presentato per il collaudo pubblico”.
Domenica 25 Maggio 1947 è in programma il IX Gran Premio Roma sul circuito cittadino di Caracalla. Sebbene la vettura sia competitiva, ma con una precaria preparazione, Enzo Ferrari decide ugualmente di schierarla per un’altra gara. Questa, originariamente, doveva essere una gara riservata alle sole vetture fino a 1100 cc, ma gli organizzatori della corsa hanno successivamente deciso di estendere la partecipazione alle auto fino a 1500 cc di cilindrata, pur di avere la vettura prodotta da Enzo Ferrari in gara. Ferrari manda a Roma Franco Cortese con la 125 S, che dovrà sfidare nuovamente la Maserati, questa volta condotta da Guido Barbieri. La scelta si rivelerà felice: nel momento in cui Fernando Righetti, al volante di una Fiat, si vede attardato in una sosta ai box, Franco Cortese vede spianata la strada verso la vittoria, la prima di una vettura chiamata Ferrari. Nonostante ai box della Ferrari, durante la gara, i meccanici abbiano vissuto qualche preoccupazione, a causa dei problemi di carburazione sulla 125 S integrale di Cortese nella prima metà di gara, la vittoria arriva con un vantaggio di venti secondi sulla Maserati di Barbieri. Ma ciò che più conta è che la vettura abbia vinto, dopo aver compiuto il secondo lungo sforzo di una gara. Rimasto a Modena, Enzo Ferrari apprende dalla radio la vittoria ottenuta, e si complimenta con Franco Cortese attraverso una telefonata. A fine giornata, Canestrini commenta la gara indovinata e intelligente, quella di Cortese, e celebra il trionfo di un nuovo prodotto consacrato da una vittoria, che si intitola a Roma e che premia la fatica e il coraggio di Enzo Ferrari. Il Gran Premio di Roma consacra due successi: uno tecnico e l'altro organizzativo. Tutti e due si sono identificati nel comune fattore sportivo. È doveroso sottolineare anzitutto il risultato organizzativo, poiché esso segna decisamente l'inizio della ripresa in grande stile delle importanti manifestazioni automobilistiche romane, che ebbero in passato grande risonanza. Il Circuito di Caracalla ricavata in una delle zone più monumentali e artistiche di Roma, ha forse avuto un solo difetto: quello di essere sproporzionato, per la sua attrezzatura completa in ogni dettaglio tecnico e per la ricerca di ogni elemento, il più confortevole, ad una prova riservata a vetture sport su circuito da Gran Premio d’Italia.
E ciò dicendo - ci pare di avere di aver fatto il migliore e meritato elogio della fatica compiuta dagli organizzatori in poco più di un mese e mezzo. La prova non ha avuto soltanto la cornice della natura così prodiga delle sue bellezze nella zona della Passeggiata Archeologica, ma anche quella di un pubblico numeroso - circa 60 mila spettatori - ed entusiasta e vivamente appassionato. La prova romana ha consacrato la prima vittoria della nuova vettura di Ferrari: la 125 dodici cilindri, che Franco Cortese ha guidato con lo stile che gli conosciamo. Egli si è preso una brillante rivincita sugli avversari di Piacenza; la vettura, dopo il primo esperimento, si è presentata più curata nella messa a punto e bisogna dire che l'impressione è stata favorevolissima fra i tecnici e gli sportivi. Cortese è stato un perfetto pilota. Ha fatto la sua corsa con irruenza, deciso a vincerla, e se nella fase finale non ha più forzato è perché sapeva di avere fra le mani una macchina pronta ad ogni deciso richiamo. Certo interessante sarebbe stato un confronto con la 1100 Fiat di Righetti, se questo non fosse stato costretto ad una lunga sosta per difetto di carburazione. Ma un avversario tenace egli l'ha avuto in Barbieri su Maserati 1500, che ha girato con il preciso proposito di cogliere una buona occasione per toglierli il comando. E Barbieri ha, come sovente accade agli audaci ed ai tenaci, raccolto il favore e l'entusiasmo del publico. Peccato che alla prova sia mancato il confronto Cortese-Righetti, Fiat (Stanguellini) - Ferrari. Righetti è un pilota di ottime doti, pieno di freschezza giovanile ed impeto. Lo ha confermato quando si è rimesso in corsa e ha battuto il tempo del giro più veloce di Cortese, segnando due secondi di meno. Bracco è stato in gara nei primi giri, poi è scomparso. Una ottima prova ha ancora fornito il sereno Scagliarini che ha vinto la prova delle 1100, come pure quella di Nissotti, Urbani, Ermini e De Martino. Il Premio di apertura riservato alle vetture fino a 750 cc, è vinto da Sesto Leonardi: una ennesima vittoria dell'appassionato romano, al quale pochi avversari riescono a contrastare la vittoria. Buon secondo Baravelli, dopo il ritiro di Taraschi - altro elemento dotato di combattività, con la sua Urania. La corsa di domenica scorsa ha dunque confermato le grandi possibilità che Roma offre anche nel campo dello sport automobilistico del dopoguerra.
Di tanto riconoscimento, che è stato unanime, debbono essere orgogliosi i dirigenti dell'Automobile Club di Roma, con a capo il Presidente Prof. Sotgiu, il quale ha avuto a validissimo collaboratore Sandro Lizzadri - anche in funzione di direttore di corsa - nonchè Mario Massimi e Mario Ferrari, Tuccimei e tanti altri validi e competenti sportivi. Alla prima giornata - chiusa dunque in bellezza - hanno presenziato il commissario straordinario al Comune di Roma, dr. De Cesare, tutto lo stato maggiore dell'A.C.I. principe Caracciolo presidente generale, con i cinque vicepresidenti Bertett, Trevisani, Sotgiu, Pironti e Brivio e molti rappresentanti di altri A.C. fra i quali Covacivich, D'Amico, Cenerini. E prima di chiudere, una franca parola di lode ai cronometristi, il cui servizio, diretto da Fraschetti, è stato perfetto. Domenica 1 Giugno 1947 la Ferrari ottiene il secondo successo, questa volta a Vercelli, sempre con Cortese, in una gara senza avversari temibili, ma vista da Enzo Ferrari come un ulteriore test per lo sviluppo della vettura. Giovedì 5 Giugno 1947 si disputa una seconda gara a Roma, sullo stesso tracciato utilizzato undici giorni prima: Ferrari partecipa con la debuttante 125 S Competizione, quella che Enzo Ferrari avrebbe voluto far esordire a Piacenza, ma gli attriti avuti con Giuseppe Farina ne impedirono le prove. Franco Cortese prenderà parte alla gara con questa vettura, ma l’esito finale sarà diverso rispetto a quanto accaduto undici giorni prima, poiché il pilota italiano è vittima di un incidente. Per la prima volta, Enzo Ferrari ricava da una gara più frustrazioni che importanti indicazioni tecniche. Si rifarà domenica 15 Giugno 1947, quando la 125 S Competizione, partecipando nella categoria Sport, dotata in questo evento di parafanghi e dell’impianto elettrico a bordo, vince il Circuito di Vigevano, ancora una volta con Franco Cortese. Una vittoria beneaugurante, in vista della successiva gara in calendario, datata domenica 22 Giugno 1947, la Mille Miglia, la quale torna in programma per la prima volta dopo la guerra. La Ferrari 125 S integrale è tra le pretendenti alla vittoria. La coppia, formata da Franco Cortese e Adelmo Marchetti, se la vedrà con le tre Cisitalia di Piero Taruffi, Piero Dusio e del grande Tazio Nuvolari. Il giorno della partenza, sabato 21 Giugno 1947, Canestrini analizza le possibilità di successo della nuova vettura, frenando il possibile entusiasmo dettato dalle ultime vittorie, cosa da cui in realtà Ferrari si vede bene a non farsi ingannare. Senza mezzi termini e con un fondo di verità, l’autorevole giornalista italiano scrive:
“Questa nuova vettura dodici cilindri, dopo i suoi vittoriosi debutti di Vercelli, di Roma, di Vigevano sembrerebbe imporsi senza discussione in questa Mille Miglia: dovrebbe anzi ritenersi la naturale ereditiera dell’Alfa Romeo. Non riteniamo però che le prove già superate siano così conclusive e decisive per pronosticarla senz’altro come la favorita della grande e durissima prova. Ci convincono anzi le precedenti gare che la Ferrari 125 S ha ancora bisogno di prove e di esperienza e che la Mille Miglia potrà costituire il collaudo più importante e conclusivo”.
Avrà ragione Canestrini, perché Cortese non concluderà la gara. Partito da Brescia, sotto gli occhi di Enzo Ferrari, alle 2:39 a.m., Cortese, al volante della 125 S integrale con il numero 219 sulla carrozzeria scatta velocissimo, guadagnando sette minuti su Villoresi che era partito tre minuti prima, ma a Fano il cedimento della guarnizione della testata ferma la sua corsa. Mentre la 125 S integrale viene riportata a Maranello per essere smontata dai tecnici, la 125 S Competizione viene iscritta per la gara di Varese, che si svolge domenica 29 Giugno 1947, dove si impone con Franco Cortese. Una grande notizia giunge domenica 6 Luglio 1947: nel giorno del Circuito di Forlì, gara intitolata a Luigi Arcangeli, Tazio Nuvolari si offre a Ferrari per guidare una sua vettura. Enzo Ferrari accoglie il pilota mantovano a braccia aperte, anche perché non vuole perdere l’opportunità di associare il nome di Nuvolari, ancora sulla bocca di tutti, con quello della sua nuova vettura. Nuvolari ha quasi 55 anni ed è nella fase discendente della sua carriera, e oltre a questo ha un fisico più minato e corre con una mascherina a protezione della bocca. La stampa definisce il ritorno del binomio Ferrari-Nuvolari come grande motivo d’attrazione. La Ferrari Tipo 125 SC riesce a reggere il forte ritmo dettato da Nuvolari, e vince a Forlì. Come negli anni d’oro della Scuderia Ferrari il costruttore modenese aspetta Nuvolari ai box con una bottiglia d’acqua minerale in mano. La settimana successiva, a Parma, Enzo Ferrari decide di schierare per la prima volta due vetture, affidando la 125 S Competizione a Nuvolari e la 125 S integrale a Cortese. Domenica 13 Luglio 1947, al segnale di partenza il motore della vettura di si spegne, ma il pilota mantovano riesce a riavviarlo. Dal quindicesimo posto, Tazio Nuvolari si lancia in una formidabile rimonta ed è capace di arrivare primo al traguardo.
Con Cortese giunto secondo, si tratta della prima doppietta della Ferrari. Le partecipazioni della Ferrari continuano domenica 20 Luglio 1947 sul Circuito delle Cascine, a Firenze. Alla presenza di quasi 100.000 persone che si assiepano nei giardini del parco pubblico, provocando danni all'amministrazione pubblica fiorentina che si rivarrà sugli organizzatori per le spese sostenute, tocca a Nando Righetti sostituire Tazio Nuvolari con la 125 S integrale, ormai sempre più debilitato tanto da non potere gareggiare. In quest’occasione la Ferrari ha meno fortuna: Franco Cortese con la 125 S Competizione, dopo la partenza ha problemi alla distribuzione ed è costretto al ritiro. Righetti di difende come può ed è solo terzo sul traguardo. A metà Agosto (venerdì 15 Agosto 1947) si corre sul Circuito di Pescara, e Ferrari iscrive per la prima volta la Ferrari 159 S, un’evoluzione della 125, la cui cilindrata viene portata a 1902 cc per una potenza massima di 125 cavalli a 7.000 giri/minuto. Affidata a Franco Cortese, la 159 S accusa problemi di gioventù. Dopo solo tre giri, mentre è al comando della corsa, Cortese rientra ai box e perde ventuno minuti per riparare il radiatore dell’olio. Nonostante ciò, con una seconda parte di gara rapidissima, Cortese ottiene il secondo posto finale e il riconoscimento della stampa di vincitore morale, accontentandosi del primo posto di classe - conquistata grazie anche al ritiro di Bracco rimasto senza benzina - e del giro più veloce in gara. L’estate 1947 continua con la partecipazione ad una gara storica: a Livorno si disputa la vecchia Coppa Ciano, ora chiamatasi Coppa Montenero. Ad Agosto, Tazio Nuvolari, che ama da sempre la corsa livornese, richiede a Ferrari di poter guidare una sua vettura. Giovedì 14 Agosto 1947 il costruttore modenese legge la sua lettera dopo essere ritornato a casa e gli risponde:
“Di ritorno dalla montagna dove mi sono recato per trascorrere il Ferragosto presso mio figlio, trovo stamane la tua lettera del 14 corrente con la quale mi informi del tuo desiderio di partecipare al circuito di Livorno con una delle mie macchine. Con ogni probabilità essa verrà pronta per quella data”.
Domenica 24 Agosto 1947 la vettura è pronta, rispettando la richiesta di Ferrari. Ma Luigi Bazzi, proprio nella fase di collaudo che precede la gara, esce di strada con la vettura destinata al mantovano, riportando fratture a una gamba e ad alcune costole. E l’automobile ne esce ancora peggio. A questo punto, Ferrari è costretto a lasciare Cortese privo di una vettura, per dare a Nuvolari l’unica auto rimasta a disposizione, la Tipo 125 S. Ma la sfortuna colpisce ancora Enzo Ferrari, perché Nuvolari si ritira dopo soli tre giri.
“Da qualche tempo non pare che la fortuna voglia favorire il tenace Ferrari, ma egli è abituato a ben altre difficoltà e saprà arrivare dove merita di vincere”.
Ferrari cerca dunque di prepararsi al meglio per la prova di casa, a Modena, e punta sullo schieramento di due Tipo 159, una per Cortese e l'altra per Nuvolari. Ma il mantovano purtroppo è indisponibile e la scelta di Ferrari cade ancora su Fernando Righetti, che a sua volta è vittima di un incidente durante una prova a Stella di Ligorzano. Il pilota italiano si scontra contro un paracarro, venendo sbalzato fuori dall’abitacolo e facendo un volo di cinquanta metri. Fortunatamente, Rigetti rimane illeso, ma la vettura precipita nel burrone sottostante. Pertanto, Rigetti parteciperà alla gara con una 125 S integrale, mentre a Franco Cortese spetterà l'onore di portare in gara la 159 con carrozzeria a sigaro, definita anche Competizione. Domenica 28 Settembre 1947 il pubblico è concentrato sul duello Ferrari-Maserati, affidate a Luigi Villoresi e Alberto Ascari. Vittorio Stanguellini orchestra contro gli organizzatori della manifestazione uno sciopero dei piloti, in quanto vogliono far correre la classe 1.100 cc con cilindrate superiori. Finalmente viene dato il via alla corsa e le Maserati partono subito in testa. Franco Cortese con la Tipo 159 riesce a sua volta a portarsi in testa alla corsa, ma problemi alla sua vettura lo costringono ad un rientro definitivo ai box. Nel tentativo di guadagnare tempo, arriva in zona box e con una manovra improvvisa si arresta. Giovanni Bracco con la Delage si trova a dover scartare di colpo per non finire addosso a Cortese, ma la sua pesante vettura sbanda e finisce in mezzo al pubblico assiepato intorno al circuito, senza una minima misura di protezione finendo contro una grossa pianta, un presagio di quello che otto anni più tardi sarebbe successo a Le Mans. La corsa viene sospesa dopo 24 giri e la vittoria viene assegnata ad Ascari su Maserati, seguito da Villoresi, sempre con vettura della Casa del Tridente. Bracco viene portato in ospedale, dopo aver tentato di fermare la corsa della sua vettura contro un platano, per limitare i danni agli spettatori, mentre in serata Cortese viene fermato dalla polizia per essere interrogato e infine viene rilasciato. Dopo essere stati sentiti, le autorità non hanno elementi sufficienti per incolpare né uno né l’altro pilota, affermando che si è trattato di una fatale circostanza, di una forza superiore alla volontà degli uomini in causa. Dopo questo incidente di Modena, l'organizzazione della corsa si interroga sul caso di spostare la gara in un circuito non cittadino. Nasce così l'idea dell'Aerautodromo di Modena. Gioachino Colombo commenterà così la corsa:
"La corsa di Modena fu un'altra delusione: la 159 S di Franco Cortese non finì la gara per noie all'accensione e la 125 S di Nando Righetti, riuscì a classificarsi soltanto al quinto posto".
A Modena viene proclamato il lutto cittadino e tre giorni dopo, mercoledì 1 Ottobre 1947, a Modena, 40.000 persone, e tra di loro naturalmente Enzo Ferrari, partecipano al funerale, riempendo il Duomo, la piazza antistante e piazza Grande. Successivamente il corteo si sposta per le vie del centro. Contemporaneamente, nello stesso giorno l’Auto Avio Costruzioni cessa di esistere perché l’azienda cambia la denominazione ufficiale: mercoledì 1 Ottobre del 1947 nasce così l’Auto Costruzioni Ferrari. Domenica 12 Ottobre 1947 si corre - sul circuito del Valentino - il Gran Premio di Torino, la gara più importante della stagione dopo la Mille Miglia. Il tragico evento di Modena e le polemiche che hanno seguito tutto ciò hanno ferito Enzo Ferrari, al punto di meditare bene se partecipare o no alla gara torinese. Ma rendendosi conto che la sua indecisione viene interpretata come lo specchio di una situazione tecnica di difficoltà, e in sostanza come un’interruzione anticipata dell’attuale stagione agonistica per mettere a punto la vettura per quella successiva, Ferrari decide di partecipare. Il costruttore modenese porta a Torino una sola 159 S, quella che ha debuttato brillantemente a Pescara a metà Agosto, e la concede a Raymond Sommer, il pilota francese che già ha corso con la Scuderia Ferrari nella seconda metà degli anni Trenta. Gli avversari più temuti sono le nuove Maserati 2000 guidate da Luigi Villoresi e Alberto Ascari, e le auto francesi, le Delage, Delaye e Talbot. Nel corso delle prove Sommer sigla solo il settimo tempo con la sua 159 S, arrivata a Torino solo all’ultimo momento, sotto una pioggia battente. Ma Enzo Ferrari è fiducioso in vista della gara. La vettura ha buone potenzialità, il pilota è di primo livello e le Maserati possono accusare, con le loro nuove automobili, problemi di gioventù nella messa a punto. Domenica 12 Ottobre 1947, alle 11:10 a.m. scatta la corsa, in un clima sereno. Sommer è in testa e solo nelle prime fasi di gara deve vedersela con le Maserati di Villoresi e Ascari. Sapendo di guidare delle vetture ancora poco sviluppate, i due portacolori della Maserati, rinunciano saggiamente a inseguire la 159 S, preferendo risparmiare la vettura per affrontare al meglio la seconda metà della gara. Ma tale mossa si rivelerà vana, perché uno dopo l’altro dovranno abbandonare la gara. Al giro 19 è Ascari a fermarsi per noie al cambio, e al giro 29 tocca a Villoresi, nel momento esatto in cui Sommer stabilisce il miglior tempo in gara. Da questo momento in poi per il francese della Ferrari diventa tutto facile. Dopo quaranta giri, il più vicino inseguitore dista un minuto e dodici secondi. Per il pubblico assiepato lungo i viali alberati di Torino la corsa diventa quasi noiosa. Sommer, dopo centocinque giri e 504 chilometri, e senza alcun avversario a impensierirlo, taglia per primo il traguardo.
Sceso dalla vettura, Sommer viene abbracciato con entusiasmo da Busso, il progettista della 159 S. Enzo Ferrari gioisce in silenzio, assieme a Bazzi, altro uomo fondamentale per il successo della giovane squadra proveniente da Maranello. Canestrini definisce questa prestigiosa vittoria di Ferrari, appellato come costruttore tenace, e della Ferrari, un luminoso successo tecnico dell’industria italiana e modenese. Prima di lasciare Torino, Ferrari, concluse le celebrazioni di rito, finito di ricevere i complimenti e ultimate le interviste, lontano da occhi indiscreti, desidera recarsi in un posto, poco lontano dalla linea del traguardo della gara che per lui rappresenta davvero un traguardo importante della sua vita, professionale e umana. Ferrari si sposta sulla panchina in legno e ferro battuto nel parco del Valentino, che per Ferrari rappresenta un punto di partenza, un angolo dove ha trovato rifugio in un giorno del Novembre 1918, quando la Fiat gli negò un posto di lavoro. Enzo Ferrari lascia i suoi uomini ed entra nel parco in piena solitudine. Trovata la panchina, come nell’autunno 1918, Ferrari vi ci piange seduto sopra. Questa volta, però, le lacrime hanno ben altro sapore. Con l’importante investimento economico messo in atto nel 1947, grazie ai ricavi ottenuti dalle precedenti esperienze tra la Scuderia Ferrari negli anni Trenta, le liquidazioni dell’Alfa Romeo e i prestiti ricevuti dalle tre maggiori banche di Modena, Ferrari costruisce tre automobili, con le quali ottiene sette vittorie assolute o di classe partecipando a quattordici gare. Ma i guadagni arrivano solamente dai premi di ingaggio e di vittoria, divisi pure con i piloti, e a Enzo Ferrari non basta. Ferrari capisce che per poter prosperare bisogna attuare nuove soluzioni. La prima sarà quella di aumentare le partecipazioni di vetture ufficiali alle gare, dentro e fuori i confini italiani. La seconda si tratta di cercare di costruire automobili per poterle vendere ai numerosi piloti dilettanti che abbondano nel secondo dopoguerra in Italia. I primi gentleman driver interessati sono i fratelli Marzotto e Besana, appartenenti a famiglie benestanti. Poi c’è il Conte russo Troubetzkoy, a cui Ferrari vende una 166 Sport, con cui riesce ad aggiudicarsi la prima gara in stagione, il Giro di Sicilia. Ferrari è riuscito nell’intento di affiancare al nobiluomo russo il sempre affidabile collaudatore Clemente Biondetti, a portare al successo la sua automobile. Nel Maggio 1948 Enzo Ferrari scrive l'editoriale del bollettino informativo, il primo dopo averlo interrotto nel 1937, nel quale enuncia:
“Dopo una lunga pausa che gli avvenimenti mondiali hanno imposto, la Scuderia Ferrari è ritornata alle corse. È un ritorno fondamentale, completo, non più quale organizzazione sportiva per la disputa delle corse in tutto il mondo, quale preparatrice di macchine e uomini, ma, anzitutto, quale costruttrice di automobili da corsa”.
Enzo Ferrari ci tiene a mandare un messaggio all’Alfa Romeo che, non molti anni prima, lo ha licenziato perché non ha creduto in lui. E anzi, all’Alfa Romeo ha probabilmente dato fastidio la successiva affermazione di Ferrari nel suo editoriale: Questa fase industriale, parola che utilizzerà sempre più di rado in futuro per definire la propria azienda, iniziata nel 1938 con la 1500 otto cilindri, 158, è ora la fondamentale attività della Ferrari. La 158 sarà per l’appunto la vettura con cui l’azienda milanese ritornerà presto alle competizioni. Il primo obiettivo fondamentale della stagione 1948 per Enzo Ferrari è la Milla Miglia, prevista per il primo fine settimana di Maggio, e naturalmente viene dato come il favorito della vigilia dalla stampa: sono sei le vetture iscritte, tutte quelle prodotte fino a questo momento. Una di queste è una 166 Inter Sport che verrà guidata da Tazio Nuvolari. In questo periodo l’asso mantovano, come racconta La Gazzetta dello Sport, cerca disperatamente una guida pur di essere presente a questa corsa tanto cara al suo cuore. L’Alfa Romeo, temendo la sfida lanciata dal suo ex collaboratore con la sua nuova automobile, pensa infatti di offrire a Nuvolari una vettura. Ma Enzo Ferrari, percependo le intenzioni dell’azienda milanese, si reca immediatamente a Brescia e, sapendo di trovare l’amico Nuvolari che sta assistendo alle verifiche precedenti alla gara, lo trova e gli strappa il consenso tre giorni prima della partenza della gara bresciana. Ferrari riesce ad anticipare sul tempo l’Alfa Romeo. I medici che hanno in cura Nuvolari, vietano al mantovano di correre ma il pilota, desideroso di gareggiare per un’ultima volta alla Mille Miglia, accetta l’offerta di Enzo Ferrari. Dopo aver svolto una prova sulla Gardesana, Nuvolari si presenta il sabato al via della Mille Miglia contro il parere dei medici. È una gara straordinaria quella di Nuvolari perché a metà gara, al passaggio di Roma, lui e il suo meccanico Sergio Scarpinelli, scelto personalmente da Ferrari, sono al comando, e a Bologna passano con 29 minuti di vantaggio sulla Ferrari di Biondetti, seconda in gara. Tazio Nuvolari si arrende solo nel momento in cui lo abbandona l’automobile. Al rifornimento di Villa Ospizio, vicino a Reggio Emilia, il perno di una balestra si rompe. Nuvolari vuole proseguire la corsa, ma Ferrari gli ordina di fermarsi e il mantovano accetta la resa. Alle 4:00 p.m. Tazio Nuvolari, stravolto dalla fatica, chiede a un prete di una canonica del posto di potersi coricare. Nel tardo pomeriggio Ferrari lo raggiunge per sincerarsi delle sue condizioni. Enzo Ferrari trova Tazio Nuvolari su un lettino che riposa e quando si risveglia lo vede fisicamente stremato e con il morale basso dopo aver perso una vittoria già virtualmente conquistata, e che con probabilità sarebbe stata l’ultima della sua carriera. Ferrari cerca di consolarlo, anche con parole che sa non essere vere, promettendogli che l’anno successivo si rifarà. Ma Nuvolari lo guarda negli occhi e con tutta la sua sincerità gli risponde:
“Caro Ferrari, alla nostra età giornate come queste non ce ne sono più tante. Ricordalo e cerca di gustartele fino in fondo, se ci riesci”.
Se Nuvolari perde la Mille Miglia, Ferrari la vince ugualmente. Infatti, la coppia formata da Clemente Biondetti e il capo collaudatore del piccolo team di Maranello, Giuseppe Navone, vince la prestigiosa gara a bordo di una 166 berlinetta carrozzata da Allemano, regalando a Enzo Ferrari il primo successo di grande portata nel suo nuovo percorso di costruttore, nonostante al rifornimento di Ravenna i due piloti abbiano dovuto superare dei dilemmi per continuare la gara. A causa di una piccola perdita d’olio tra il volano e la frizione la vettura non rispondeva correttamente. Biondetti voleva ritirarsi, mentre Navone, che conosce alla perfezione la vettura che ha collaudato personalmente, sapeva che tutto si sarebbe risolto con il passare del tempo. Alla fermata di Ravenna, Enzo Ferrari, su richiesta di Navone, aveva deciso di intervenire di persona prendendo sottobraccio Biondetti, e mentre i meccanici rabboccavano il carburante, era riuscito a convincere il pilota a rimettersi al volante e proseguire la gara. Con il successivo ritiro di Nuvolari a Reggio Emilia, la gara ha dunque registrato la vittoria di Biondetti. Come premio per il successo, Enzo Ferrari stacca a Navone un assegno di 100.000 lire. Domenica 30 Maggio 1948 Enzo Ferrari ottiene anche il primo successo all’estero, grazie al primo posto di Biondetti a Stoccolma. A metà Giugno si svolgerà l’ultimo atto della longeva collaborazione sportiva nell’automobilismo tra Ferrari e Nuvolari. A Mantova, nella gara intitolata ai due figli di Nuvolari scomparsi prematuramente a soli diciott'anni, Giorgio nel 1937 e Alberto nel 1946, il mantovano percorre quattro giri al comando della corsa, tra l’entusiasmo dei suoi concittadini, fino a quando è costretto a fermarsi a causa di un malore. Per Tazio Nuvolari si tratta dell’ultima gara al volante di una Ferrari. Domenica 27 Giugno 1948 Enzo Ferrari partecipa al Gran Premio di Sanremo, e per l’occasione porta una vettura Formula 2 derivata da una vettura Sport perché, per quanto nell’ultimo anno le unità di lavoro siano passate da 140 a 255, lo sviluppo della monoposto di Formula 1 sta procedendo a rilento. Ma Ferrari può considerare in questo momento un pregio della sua produzione che contraddistingue la sua attività nei primi anni di crescita, cioè la versatilità delle sue vetture, che hanno in comune la stessa architettura e una buona parte dei componenti. A Sanremo, Ferrari si deve accontentare del quarto posto di Sommer, che frutta ugualmente i premi di partecipazione e di arrivo, pur sempre necessari in questo momento per proseguire a finanziare i grandi investimenti che sta attuando a Maranello, come ad esempio il completamento della costruzione dello stabile. La nuova monoposto di Formula 1, la 1500, detta anche 125 F1, che deriva dalla 1500 Sport, debutta domenica 5 Settembre 1948 sul circuito del Valentino, in occasione del Gran Premio d’Italia. La nuova automobile, la quale è il preludio della vettura che avrebbe gareggiato l’anno successivo, rappresenta per Ferrari la strada scelta per realizzare una macchina facilmente impiegabile dai clienti, per la quasi totalità dei circuiti. A Torino Ferrari affida tre vetture Formula 1 a Sommer, Farina e il Principe thailandese Birabongse Bhanubandh del Siam, conosciuto semplicemente come Bira, pilota già noto nelle corse fin dagli anni Trenta. Con i ritiri di Farina e Bira, rispettivamente per un’uscita di strada e per una rottura, solo Sommer completa la gara, giungendo terzo. Questo risultato dà a Ferrari quella fiducia che manca da tempo di fronte a tutti gli sforzi che sta compiendo in un momento in cui, solo alle persone più strette, rivela di nutrire forti dubbi riguardo la possibilità per la sua piccola azienda di costruire delle vetture di Formula 1, e che forse la scelta migliore sia quella di concentrarsi sulle sole vetture Sport. L’autorevole Canestrini sentenzia così la gara delle Ferrari:
“L’esordio di Ferrari indubbiamente costituisce una prova veramente eccezionale di efficienza e di preparazione che torna a tutto merito di Enzo Ferrari e dei suoi collaboratori”.
E rispondendo ai dubbi che Ferrari si è posto prima della gara, dice:
“Si deve concludere che Ferrari è dunque sulla strada giusta. Si profila all’orizzonte una minaccia Ferrari della quale i tecnici dell’Alfa Romeo dovranno fin d’ora tenere conto”.
Dalla gara di Torino in poi arrivano per Ferrari i risultati tanto attesi. La settimana successiva alla 12 Ore di Parigi vince la 166 guidata da Luigi Chinetti, domenica 24 Ottobre 1948 Giuseppe Farina vince la gara disputata sul Circuito del Garda con una 125C e, per concludere al meglio la stagione agonistica, Chinetti conquista ben tre record internazionali di velocità sull’ora sul circuito francese di Monthléry, sulle cento e sulle duecento miglia a oltre 200 km/h di media e, particolare non di poco conto, ottenuti con la pioggia e con il vento. Commenta Enzo Ferrari, dinnanzi a questi risultati:
"I risultati attesi sono giunti. Merito anzitutto dei collaboratori che in noi hanno riposto, in tutti i tempi, serena fiducia. Senza aiuti, ma con la tranquilla certezza della buona causa, abbiamo lavorato, lavorato con ostinazione artigiana e provinciale".
Nel mese di Settembre del 1948 Enzo Ferrari partecipa, per la prima volta, in veste di costruttore, al Salone dell’Automobile. L’oggetto della presentazione è la Ferrari 166 MM, in ricordo del successo ottenuto in primavera alla Mille Miglia, già presentata al Salone di Torino. La stampa troverà alla 166 MM un nome che la rappresenti e che rispecchia chiaramente la forma strutturale di questa vettura aperta, e cioè barchetta. La Ferrari 166 MM barchetta è una vettura sportiva dalle forme sinuose, tanto veloce e potente quanto bella ed elegante. Il 1948 si chiude con il tentativo di Luigi Chinetti di convincere Ferrari a partecipare alla 24 Ore di Le Mans. Già vincitore nel 1932 e nel 1934 della più famosa corsa francese, Chinetti chiede di poter partecipare all’edizione del 1949 come pilota ufficiale, e di essere accompagnato da un’altra vettura da poter destinare all’amico René Dreyfus, rifugiatosi a New York durante la Seconda Guerra Mondiale, e da otto meccanici. Inaspettata è l’alleanza che Chinetti trova in Colombo e Lampredi, i quali, parlando a Ferrari, pensano che la sua azienda non debba accontentarsi di vincere sul lago di Garda, a Forlì o alla Mille Miglia, ma debba ambire ad obiettivi più prestigiosi, come ad esempio la 24 Ore di Le Mans, una gara fuori dai confini nazionali. Ma nemmeno l’alleanza e l’insistenza dei due tecnici aiuta Chinetti a convincere Ferrari, che non dimentica il fallimento della Carrozzeria Emilia. Enzo non vuole fare il passo più lungo della gamba per un impegno di tale portata, fino a quando la sua non sarà un’azienda consolidata. Ferrari, che per il momento ambisce a un traguardo più importante, ovvero il Gran Premio d’Italia 1949, che ritornerà a Monza, risponde a Chinetti dicendo che le due vetture le potrebbe acquistare per gareggiare a Le Mans; Chinetti accetta l’invito di Ferrari. Nel 1949 Enzo Ferrari non attende l’apertura delle gare europee, ma decide di partecipare alle gare sudamericane, una serie di gare tra Argentina e Brasile chiamata Temporada. In un primo momento non c’è l’intenzione d parte di Enzo Ferrari di parteciparvi, ma quando la Maserati manda in Sud America tre vetture per Ascari, Villoresi e il Principe Bira, il costruttore modenese ci ripensa; Adolfo Orsi, il proprietario della Casa bolognese che ha la sede a Modena da circa un decennio, ha interessi commerciali in Sud America, in particolare un ramo legato alla sua attività industriale in Argentina. Enzo Ferrari non ha contatti e contratti commerciali in questa parte del mondo, ma da quando Orsi ha trasferito a Modena la sede, è cresciuta la rivalità tra i due costruttori di auto. Se nel 1947 e nel 1948 Enzo Ferrari non aveva partecipato alla Temporada perché la riteneva costosa, nel 1949 decide di spedire attraverso un lungo viaggio per mare una vettura affidata a Giuseppe Farina. Con lui, Ferrari manda in Sudamerica i tecnici Storchi e Salvarani, che portano alcune casse di attrezzi e due motori, uno da 1.5 litri e uno da 2 litri, da montare a seconda della situazione in corsa. Al termine di quattro gare svolte in Argentina e due in Brasile, il bilancio è sostanzialmente positivo: una vittoria nel Gran Premio di Rosario, e un secondo posto. Ma ciò che più è importante, è il fatto che queste gare possono dare maggiori indicazioni utili allo sviluppo delle vetture di Formula 1. Infatti, se il motore si dimostra veloce e affidabile, il telaio mostra la necessità di un ulteriore sviluppo. Inizia in primavera la stagione europea della Ferrari e, come accaduto l’anno precedente, Biondetti vince alla guida della 166 prima il Giro di Sicilia, e poi la Mille Miglia, in cui abbatte il record sulla distanza stabilito nel corso dell’edizione precedente, alla media di 131 km/h. La stampa acclama questa striscia di successi che apre la stagione della Ferrari. Grazie alla ritrovata competitività delle sue auto, Enzo Ferrari può permettersi di ripristinare quella routine dopo gara che conosce dai tempi della precedente Scuderia Ferrari-Alfa: il lunedì è la giornata di calma, dedicata a metabolizzare il risultato ottenuto in gara e a recuperare le energie, mentre rientrano a Maranello le vetture che hanno gareggiato, per poi essere controllate dal reparto revisione; il martedì è il giorno in cui arrivano a Maranello i piloti per ritirare la loro paga, che si tratta del cinquanta percento dei premi di partecipazione e di vittoria, con la restante parte che rimane alla squadra di Maranello. Nello stesso giorno della settimana Enzo Ferrari, in base all’importanza della vittoria acquisita, offre un pranzo o una cena ai piloti, per festeggiare il risultato ottenuto. Domenica 28 Maggio 1949 la Ferrari 125 F1, la nuova monoposto da 1.5 litri di cilindrata che esordirà alla prima stagione del Campionato Mondiale di Formula 1, varato dalla FIA, esce dalla fabbrica di Maranello e si lancia sulla statale dell’Abetone. Alla curva di Serramazzoni si posizionano, come d’abitudine, Enzo Ferrari, rimasto in maniche di camicia e con addosso l’amato cappello, Colombo e gli altri collaboratori, nella trepida attesa dell’arrivo della monoposto, annunciato chilometri prima dal rombo del motore V12. Al passaggio della vettura, Enzo Ferrari tiene stretto alla testa il suo cappello e si precipita a parlare con il collaudatore. Poco dopo si alternano in tre al volante della 125 F1, i collaudatori Navone e D’Angelo e il pilota Franco Cortese. Nel frattempo, nel corso dei primi mesi del 1949 Luigi Chinetti, che nell’ultimo inverno ha dovuto rassegnarsi davanti al rifiuto di Enzo Ferrari di partecipare ufficialmente alla 24 Ore di Le Mans, acquista due 166 MM, una per sé e una per il suo amico Renè Dreyfus, e ottiene da Enzo Ferrari la possibilità di avere in prestito due meccanici, il capo meccanico Adelmo Marchetti e il meccanico Mario Guerzoni, a disposizione nel corso del weekend di sabato 25 e domenica 26 Giugno 1949, in Francia, in occasione della 24 Ore di Le Mans, che l’italiano con cittadinanza statunitense affronta privatamente con i suoi meccanici provenienti dal suo garage-officina di New York. Mentre domenica 26 Giugno 1949 è in corso la 24 Ore di Le Mans, Enzo Ferrari si trova in gita in compagnia del figlio Dino a San Marino, l’antica fortezza medievale che sta sopra un colle degli Appennini romagnoli. Ferrari, per quanto uomo amante dei piaceri della vita, con qualche chilo in più, è un uomo atletico, nonostante non pratichi nessun tipo di attività sportiva. Dino, bel ragazzo, ha del padre i lineamenti e la determinazione nel salire e arrivare in cima alla montagna. Ma gli sforzi per seguire il passo del padre sono pressoché vani. Dino incontra delle difficoltà nel salire perché gli manca la forza, e Ferrari, sebbene si fermi spesso per aspettarlo, rimane in silenzio per non rimarcare al figlio le sue incertezze. Fermo qualche metro più su, Enzo Ferrari vede Dino proseguire lungo la strada con un passo sempre più titubante, e con il respiro sempre più in affanno. Arrivati in cima alla fortezza, Enzo Ferrari accende la sua radio portatile, che ha portato con sé per captare le onde radio delle antenne dissestate sulle cime delle colline che circondano la rocca, e con Dino attende notizie riguardo la 24 Ore di Le Mans in svolgimento. Con il padre, Dino ha in comune anche la passione per l’automobile, che diventa presto un vero interesse. Inoltre, si sta per diplomare all’istituto tecnico Corni di Modena. Dino è spesso presente a Maranello, nella fabbrica del padre, dove con discrezione si aggira tra bianchi di lavoro per vedere se gli uomini stanno lavorando su nuovi pezzi, oppure si siede al volante delle vetture appena concluse parcheggiate nel cortile della fabbrica, tanto che la stampa lo impara a conoscere e lo cita sui propri articoli come abituale compagnia del padre. In questa domenica di Giugno, con il cielo d’estate che volge verso il classico tramonto rosso fuoco, arriva a Enzo e Dino Ferrari la notizia della vittoria di una loro vettura a Le Mans. Per Ferrari è un momento d’orgoglio perché si tratta, per lui e la sua azienda, della prima vittoria internazionale, il primo prestigioso trionfo fuori dai confini nazionali. Ma il momento di gioia viene superato quasi subito dall’angoscia, quella che accompagna Enzo Ferrari da quando è venuto a sapere che il figlio, in cura dall’età di sette anni, soffre di una malattia inguaribile e difficile da diagnosticare. All’inizio riconosciuta come una nefrite, si viene a scoprire che Dino soffre di distrofia muscolare. Anni dopo, Ferrari racconterà:
“La radio mi portava il momento di una gioia e presentivo che mio figlio mi sfuggiva. Che l’avrei perduto”.
Enzo Ferrari racconterà inoltre di un delicato episodio accaduto sempre in cima a questa rocca sulla valle del Marecchia, nel quale per un momento pensa a una terribile idea, un atto di coraggio, e di amore, disperato, che in un istante avrebbe risparmiato a suo figlio Dino una fine dolorosa e a lui il dolore di sopravvivergli:
“Davanti al dirupo del Marecchia mi dissi che non avevo coraggio, altrimenti avrei abbracciato mio figlio e mi sarei buttato nel vuoto con lui. In quel momento capii che ero un vigliacco perché l’uomo ha escogitato un’altra parola per difendersi da questa realtà. La parola che tutti chiamano sfortuna, ma che in realtà esprime soltanto quello che non si è saputo o potuto fare o prevedere”.
Con lo scomparire del sole dietro le nuvole e il ritorno verso la pianura afosa di padre e figlio, si conclude così questa domenica, che porta a Enzo Ferrari non solo il trionfo nella 24 Ore di Le Mans, ma anche il podio completo, da primo a terzo, al Gran Premio dell’Autodromo a Monza. Luigi Chinetti vince la 24 Ore di Le Mans con il gentleman driver inglese Lord Selsdon che, contribuendo all’acquisto delle 166 MM, aveva ottenuto in cambio la possibilità di guidare la vettura durante la corsa, anche solamente per un’ora o poco più, lasciando le restanti ventitré ore di corsa al solo Chinetti. Nonostante la rottura dello sterzo che provoca l’uscita di strada, con conseguente ritiro, della 166 MM guidata da Dreyfus in coabitazione con Lucas, il trionfo della 166 MM di Luigi Chinetti dimostra che le vetture prodotte a Maranello sono non solo veloci, ma anche resistenti capaci di affrontare una gara massacrante come la 24 Ore di Le Mans, riuscendo per altro a battere le vetture inglesi e francesi con motori dalle cilindrate doppie rispetto a quella di cui dispongono le vetture prodotte a Maranello. L’affermazione alla 24 Ore di Le Mans è un colpo promozionale senza precedenti per l’azienda di Enzo Ferrari, e la Ferrari diventa la vettura sportiva per eccellenza. Domenica 3 Luglio 1949, poche settimane dopo il trionfo a Le Mans, Alberto Ascari, con la 125 F1, vince il Gran Premio della Svizzera, domenica 31 Luglio 1949 Luigi Villoresi vince il Gran Premio d’Olanda e poi ancora Alberto Ascari conquista la vittoria nell’International Trophy Race, che si disputa sabato 20 Agosto 1949. Per l’attesissimo Gran Premio d’Italia, che si disputa domenica 11 Settembre 1949 a Monza, Enzo Ferrari intende far debuttare il nuovo motore 1500 con doppio compressore. Una settimana prima della gara, in una giornata calda, il costruttore modenese programma una giornata di prove private, per preparare la nuova vettura. Enzo Ferrari presenzia a questa giornata, ma spesso rimane in disparte, lontano dai suoi collaboratori, un po’ pensieroso ed entrando raramente nel vivo delle discussioni. Solo i complimenti dei pochi presenti hanno il potere di far sorridere Ferrari. Ad alternarsi alla guida della 125 F1 in questa sessione di prove sono i due piloti ufficiali, Alberto Ascari e Luigi Villoresi, e i due collaudatori Navone e Meazza, quest’ultimo accanto a Ferrari fin dai tempi della Scuderia Ferrari con materiale Alfa. Un’altra curiosità di questa giornata è la presenza ai box di un pilota e di un collaudatore dell’Alfa Romeo, Giuseppe Farina, e Gianbattista Guidotti, a cui Ferrari non vieta la partecipazione per poter seguire le prove, nonostante l’azienda milanese sia l’avversario più forte del team di Maranello. Domenica 11 Settembre 1949 Alberto Ascari conquista la vittoria, e la stampa esalta il motore dodici cilindri prodotto nelle campagne modenesi, definendolo l’espressione della tenacia e del lavoro di quel nuovo ammirevole organismo industriale che Enzo Ferrari ha creato a Maranello. La gioia di questo successo, però, non inganna Enzo Ferrari perché sa bene che in tutte le corse vinte dalla 125 F1 non ha gareggiato alcuna Alfa 158, vettura che in prova ha siglato un tempo più veloce di 6 secondi rispetto alla pole position conquistata da Alberto Ascari, prova inconfutabile del distacco tecnico da colmare. Di conseguenza, Ferrari prende la decisione di affidare la responsabilità della monoposto di Formula 1 ad Aurelio Lampredi, giovane ingegnere livornese. Lampredi nei primi mesi del 1949 ha convinto Ferrari a seguire la strada del motore aspirato al posto di quello sovralimentato, dimostrando come l’aspirato, essendo meno pesante con la medesima potenza, riduca i consumi. Ferrari decide così di affidargli una squadra di tecnici per poter lavorare in gran segreto sulla costruzione di un motore aspirato di 4.5 litri. Dal momento in cui è evidente la differenza di prestazioni dall’Alfa Romeo, Ferrari decide di puntare alla strategia progettuale di Lampredi. Colombo continuerà invece ad occuparsi delle vetture Sport e granturismo stradali, mentre chi vigilerà su tutti è sempre Bazzi, una certezza consolidata negli anni dal punto di vista tecnico per Ferrari, insieme a lui dal 1923. Altra decisione presa da Ferrari, non tanto strategica, ma onorevole, è quella di poter partecipare a impegni di campionati diversi e durante la guerra, quando il ritorno alle corse sembra un miraggio, Enzo Ferrari lo ha promesso a sé stesso di mantenere questa linea. E perciò, oltre al Campionato del Mondo con vetture di Formula 1, il costruttore modenese non disdegna la partecipazione alle gare di Formula 2. A tal proposito, nel mese di Novembre Enzo Ferrari si reca a Monza, in compagnia di Dino, per assistere a una sessione di prove della nuova monoposto di Formula 2, guidata da Felice Bonetto, pilota di cui il costruttore modenese apprezza l’audacia e la spregiudicatezza che mostra in gara.
“La macchina è veramente sorprendente ed entusiasmante”.
Scrive Enzo Ferrari sulla sua agenda, dopo essere tornato a Modena in serata.